La camorra a Roma e nel Lazio

tuscolano

Negli anni ‘ 70 alcuni clan di camorristi legati alla Nuova Famiglia del boss Carmine Alfieri si trasferiscono a Roma e nel basso Lazio. Hanno l’incarico di eliminare quei boss e quei soldati affiliati alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, scappati da Napoli e dalla Campania.

Dopo anni di predominio Cutolo stava perdendo la guerra contro gli emergenti Michele Zaza, Lorenzo Nuvoletta e Antonio Bardellino, ed alcuni dei suoi luogotenenti e gregari erano costretti a fuggire per evitare di cadere sotto i colpi dei loro avversari.

In quella spietata caccia all’uomo alcuni dei boss legati ad Alfieri, come Enzo Angelo Moccia da Afragola, Ferdinando Cesarano da Pompei, Marzio Sepe, Peppe Rocco e Geppino Autorino da Nola, decidono di trasferirsi in pianta stabile nella Capitale, diventando punto di riferimento per i gruppi criminali locali, oltre che per alcune famiglie campane.

Tra questi vi è anche Michele Senese, ex luogotenente di Moccia, che col fratello Gennaro guida un’organizzazione attiva nell’importazione illegale dalla Spagna e dall’Olanda di ingenti quantitativi di hashish e di cocaina. Grazie ai contatti con trafficanti internazionali, il gruppo dei Senese rifornisce una fitta rete di spacciatori in diverse zone della Capitale.

La potenza economica data dal traffico della droga, unita alle conoscenze con le famiglie campane e con quelle siciliane di Cosa Nostra (Crocifisso Rinziville di Gela, Acquasanta e Santa Maria del Gesù di Palermo), consente all’organizzazione guidata dal boss Michelino, originario di Afragola, di consolidare la sua posizione su Roma.

Gli ingenti proventi del traffico della droga vengono riciclati nell’acquisto di società che commerciano auto usate, ma anche attività commerciali, alberghi e ristoranti. In crescita è anche l’attività di usura, che consente di riciclare ingenti quantitativi di contante attraverso prestiti a tassi elevati.


Pecoraro in Antimafia: la criminalità a Roma non si limita solo al traffico di stupefacenti

In un’agenzia l’ AGI riferisce, nel settembre del 2011, di come il Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, ascoltato in Commissione Antimafia presieduta dall’on. Giuseppe Pisanu, abbia spiegato che la criminalità della Capitale “non si limiti solo al traffico di stupefacenti ed ai conseguenti scontri per il controllo dello spaccio”. A seguito di indagini era infatti emersa una forte “presenza della criminalità organizzata”.

A destare particolare preoccupazione è soprattutto la ‘ndrangheta, “attiva nel riciclaggio e nel reinvestimento di capitali sporchi in attività commerciali, come dimostrato anche dal sequestro di alcuni locali nel centro storico”.

Ma non solo di ‘ndrangheta e di riciclaggio si tratta.

La camorra, la cui presenza sul territorio di Roma e del Lazio era già stata censita tempo addietro, ha stretto alleanze con la criminalità locale: “In alleanza con i clan cinesi – riferisce Pisanu – (la camorra) ha fortemente condizionato il mercato immobiliare di quartieri come l’Esquilino e il traffico di prodotti contraffatti”.

Ma il grosso dei ricavi della camorra deriva dallo spaccio degli stupefacenti.

La catena di omicidi registrata dagli inquirenti  era probabilmente legata “ad una contesa molto dura per la leadership ed il controllo dello spaccio di droga. Contesa che vede contrapposte piccole bande di spacciatori non collegate tra loro”.


Pecoraro: cresce l’imprenditorialità mafiosa

Il dato nuovo emerso nel corso dell’audizione del Prefetto è che a Roma e in Provincia esiste una piccola parte di imprenditori e di professionisti, avvocati, commercialisti e notai che, in cambio di utilità di vario genere è disposta a chiudere un occhio, o magari tutti e due, per favorire l’attività di riciclaggio delle organizzazioni criminali che operano sul territorio. Si va dalla costituzione di società da parte di prestanome con soci occulti gli stessi boss, all’acquisto di immobili attraverso interposte persone, fino alla mancata denuncia dell’acquisto di beni immobili e mobili registrati attraverso ingenti quantitativi di contanti di provenienza ignota. “Sembra emergere – afferma il Prefetto – un’ imprenditorialità mafiosa, costituita da gruppi di imprenditori, professionisti e altre figure, che, in cambio di favori o di altra utilità, cura gli interessi delle cosche”.

Spiega il Prefetto come si tratti di “soggetti, magari di basso profilo criminale per gli investigatori, che risultano però essere personaggi di non trascurabile spessore per le rispettive organizzazioni, attese le loro specifiche competenze e capacità individuali nella gestione delle attività economico-finanziarie”.

Sebbene manchi quell’elemento del controllo territoriale che contraddistingue le organizzazioni di stampo mafioso in senso stretto, la presenza concreta della camorra e della ‘ndrangheta la si riscontra dagli ingenti investimenti da queste operati: “pur non riscontrandosi un vero e proprio controllo del territorio da parte della criminalità organizzata, non si possono ignorare situazioni di preoccupazione, soprattutto in alcune aree, sia per la presenza di referenti delle principali famiglie mafiose, camorristiche e della ‘ndrangheta, sia per gli investimenti conclusi dagli stessi”.

“Il Lazio, ed in particolare Roma – prosegue Pecoraro –  sono zone in cui ‘ndrangheta, camorra e mafia siciliana investono somme ingenti per l’acquisizione di rilevanti attività economiche soprattutto nel campo alberghiero e della ristorazione: la Capitale, in particolare, appare snodo essenziale di affari leciti e illeciti, dove le organizzazioni criminali acquisiscono, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società e attività commerciali nelle quali impiegano capitali illecitamente acquisiti.

La scelta di effettuare investimenti a Roma – prosegue Pecoraro – si spiega con il fatto che si tratta di un territorio non caratterizzato da forme di allarme sociale tipiche di altre realtà e in cui non c’è la necessità di contendersi i comparti economico-imprenditoriali, per il semplice motivo che c’è posto per tutti”.

Con specifico riferimento a Cosa Nostra “lo scenario regionale – afferma il Prefetto – presenta un variegato spettro di presenze di elevato profilo, non solo nella Capitale: le attività primarie dei clan spaziano dal traffico di droga al reimpiego dei capitali illeciti nei settori commerciali, immobili e finanziari, al commercio delle auto.

La presenza della ‘ndrangheta ha fatto registrare negli anni più recenti “un’accresciuta vitalità, grazie alla presenza di gruppi collegati all’organizzazione madre, della quale hanno mantenuto la fisionomia comportamentale: i settori di maggiore interesse si confermano quelli immobiliare, alberghiero e della ristorazione, gli stupefacenti, il gioco d’azzardo, il commercio di preziosi.

Molto forte anche la presenza camorrista – prosegue ancora Pecoraro – per l’esistenza di referenti su territorio di molti clan, favorita dalla vicinanza con la Campania: riciclaggio, truffe, estorsioni, usura e ricettazione, oltre a garantire forti redditi, risultano la base per l’infiltrazione in attività economiche legali”.


L’arresto di Senese

Il punto di svolta negli equilibri politici dei clan che gestiscono a Roma il traffico degli stupefacenti avviene nel dicembre del 1997, con l’uccisione nel quartiere di Centocelle di Gennaro Senese.

Dall’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino, nel quale era recluso grazie ad una perizia farlocca, Michele Senese ordina di vendicare il fratello. Il responsabile della sua morte, il boss della Marranella Giuseppe Carlino, verrà eliminato sul lungomare di Torvaianica il 10 settembre 2010. Ad ucciderlo sarà il braccio destro di Senese, Domenico Pagnozzi, figlio di Gennaro Pagnozzi, boss di San Martino Valle Caudina.

Dopo un primo filone di indagini, l’inchiesta per l’omicidio Carlino conduce, nel 2003, ad una prima archiviazione. Ma grazie alle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, nel 2004 la DDA di Roma riapre il caso, e si arriva così ad un primo arresto di Senese e di altre 5 persone.

Nel 2007 la Corte Suprema riconosce Michele Senese capace di intendere e volere, riconoscimento che gli vale l’ingresso in un istituto di pena ordinario. Sempre nel 2007 il Tribunale del Riesame annulla l’arresto del boss di camorra, e si procede con una seconda archiviazione.

Michele Senese viene arrestato nuovamente nel 2009, assieme ad altre 41 persone, per associazione mafiosa finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. E’ l’operazione Orchidea, condotta in contemporanea in sei regioni: Lazio, Campania, Emilia Romagna, Abruzzo e Puglia. Secondo gli inquirenti il boss gestiva il grosso del traffico degli stupefacenti nel quartiere Tuscolano.

Nel 2010 la Procura di Roma riesce a raccogliere nuove prove e ad incastrare Senese e gli autori dell’omicidio Carlino. Ma nel gennaio del 2013 il boss viene scarcerato per decorrenza dei termini. Il 27 giugno dello stesso anno Senese viene definitivamente arrestato mentre vaga per le strade di Ciampino. Aveva fatto perdere le sue tracce quando pendeva sul suo capo una condanna in secondo grado a 8 anni per traffico internazionale di stupefacenti.

Ma è solo nel gennaio 2016 che arriva per Senese e Pagnozzi la condanna a 30 anni della Corte d’assise d’appello di Roma. I due vengono riconosciuti responsabili dell’omicidio del boss Giuseppe Carlino. Sedici anni vengono inflitti a Raffaele Carlo Pisanelli e Giovanni De Salvo; dieci anni e 7 anni e quattro mesi invece ai due collaboratori di giustizia Antonio Riccardi e Vincenzo Carotenuto. Assolto Clemente Fiore, originariamente riconosciuto quale complice di Pagnozzi. 


 L’operazione Tulipano

Il 10 febbraio 2015 i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Capitale, sgominano una rete di camorristi attiva prevalentemente nella zona del Tuscolano.

Le sessanta persone indagate, tra cittadini romani e campani, sono accusate a vario titolo di associazione a delinquere, traffico internazionale di stupefacenti in concorso, estorsione, usura, reati contro la persona, riciclaggio, intestazione fittizia di beni. Riconosciuta anche l’aggravante del carattere mafioso dell’organizzazione (416 bis).

Oltre al mercato della droga il sodalizio controllava anche i settori illegali del gioco d’azzardo e di quello clandestino. Incluso anche il collocamento e la gestione delle slot machine e delle video lotteries (VLT) all’interno degli esercizi commerciali. Sequestrati beni per 10 milioni, tra cui una gioielleria in via Barberini, due bar nel centro di Roma, due ristoranti a Trastevere, un distributore di gas, due autosaloni, un locale notturno, due negozi di prodotti per animali, ed un negozio di frutta e verdura.

Complessivamente vengono sequestrate venti società romane, 30 immobili, 72 veicoli e 222 rapporti finanziari. L’organizzazione riforniva le zone di spaccio di Tor Bella Monaca, Ponte Milvio, Centocelle, Borghesiana, Pigneto e Torpignattara. (cm)

   

   

  

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