Paradisi societari

paradisi-fiscali

Secondo alcuni esperti lo spostamento dei profitti da parte dalle multinazionali sarebbe costato al governo degli Stati Uniti, nel 2012, tra i 77 e i 111 miliardi di dollari.

L’uso da parte delle corporations dei paradisi fiscali avrebbe ridotto le entrate del governo statunitense per oltre 280 miliardi di dollari. Solo Microsoft deterrebbe attualmente in conti esteri circa 108 miliardi di dollari.

Negli Stati Uniti tra gli argomenti più dibattuti dai candidati alle prossime elezioni presidenziali quello della riforma del fisco riveste un ruolo determinante.

L’attuale sistema fiscale statunitense, oltre ad applicare un’aliquota molto elevata sugli utili di impresa (35%) costituisce un’eccezione rispetto a quelli in vigore nei principali paesi sviluppati. Tale eccezionalità è dovuta al fatto che le imprese che operano sul suolo statunitense sono tenute a versare nelle casse dell’erario un’imposta su tutti gli utili complessivamente realizzati. Il fisco a stelle e strisce, dunque, colpisce anche gli utili realizzati dalle consociate al di fuori del territorio americano.

Tale sistema rappresenta l’unica forma di tassazione globale rispetto a tutti gli altri sistemi fiscali in vigore nei restanti paesi del G8 e nell’80% di quelli dell’OCSE; questi ultimi hanno adottato invece, in diverse forme, un sistema misto, basato su un principio di territorialità secondo il quale le imprese sono tenute a pagare solo le tasse sul reddito realizzato in quel dato paese.

A dire il vero nel sistema fiscale statunitense vige una disposizione importante chiamata differimento che consente alle imprese di sospendere il pagamento delle tasse sugli utili realizzati all’estero, fino a quando non li avranno riportati negli Stati Uniti; ma ciò significa solo che queste, messe nella possibilità di scegliere, preferiscono tenere i loro profitti all’estero piuttosto che riportarli a casa, riducendo così il carico fiscale.

E’ stato stimato, infatti, come le grandi multinazionali americane detengano, attualmente, in conti esteri circa cento miliardi di dollari. Questo cosiddetto “effetto blocco” si traduce, in concreto, in minori investimenti negli Stati Uniti, ed in una quota inferiore di utili distribuiti agli azionisti. Dal momento che gran parte di ciò che le aziende guadagnano rimane all’estero e non è tassabile, il fisco americano riesce a raccoglie attraverso il sistema di tassazione globale solo una piccola porzione di entrate. Allo stesso tempo, il fatto che i guadagni conseguiti all’estero rimangano in “esilio“, incoraggia la scelta delle multinazionali di evadere il fisco, ad esempio mettendo in atto quella che tecnicamente viene definita l’inversione fiscale.


L’inversione fiscale e le risposte dei candidati

Il più importante affare del 2015 è stato, a parere di molti, anche quello più opaco: la fusione dal valore di 160 miliardi tra il gigante farmaceutico americano Pfizer ed il gruppo farmaceutico irlandese Allergan. Si tratta di una inversione fiscale, ovvero il trasferimento della residenza fiscale in Irlanda da parte del gruppo nato dalla fusione delle due multinazionali. Pfizer si trasformerà, a tutti gli effetti, in una società irlandese, così da poter ridurre il suo carico fiscale. Questo meccanismo, posto in essere esclusivamente per abbattere il carico fiscale, ha prodotto, mentre il mondo continua ad attraversare la crisi economica, una generale indignazione. Hillary Clinton ha dichiarato che mettere fine a questo tipo di condotta non rappresenta solo una questione di equità, ma anche di “patriottismo”. Donald Trump invece ha definito tale fusione “disgustosa”. Ora, quando anche uno come Trump trova questo modo di fare soldi ripugnante, la questione deve farci riflettere.

Nel frattempo, il meccanismo dell’inversione sembra stia prendendo sempre più velocità.  Un tempo questo genere di operazioni erano molto rare – il Congressional Research Service sostiene che ce ne fu solo una negli anni ottanta – ma negli ultimi dieci anni ne sono state registrare più di cinquanta,  la maggior parte delle quali a partire dal 2009. Anche se negli ultimi due anni sia il Dipartimento del Tesoro che l’IRS (l’agenzia delle entrate statunitense) hanno adottato nuove regole destinate a rendere l’inversione più difficile, la tendenza è proseguita a ritmo sostenuto anche nel 2015. Tutto sommato ciò era prevedibile a causa sia del carico fiscale attuale negli Stati Uniti, che alla natura mobile delle grandi multinazionali.

La proposta del democratico Bernie Sanders consiste semplicemente nell’abolire la pratica del differimento, e nel far pagare alle società le tasse sui profitti realizzati all’estero, non appena questi vengono contabilizzati. Nel breve termine ciò aumenterebbe il gettito fiscale, ma finirebbe per rendere l’inversione ancora più allettante e, a lungo andare, ridurrebbe probabilmente il numero di nuove aziende sorte negli Stati Uniti per incorporazione o fusione.

Un’alternativa più plausibile sarebbe quella di seguire l’esempio della Germania e del Giappone, adottando un sistema territoriale ibrido. Anche se i dettagli sono complicati, il principio basilare sarebbe quello territoriale, secondo il quale i profitti verrebbero tassati nel luogo in cui vengono realizzati. Ma dal momento che qualsiasi sistema territoriale è vulnerabile a schemi di evasione fiscale, quali lo spostamento dei profitti, facendo apparire come se questi fossero stati conseguiti all’estero, sorgerebbe anche la necessità di avere norme molto più rigide contro l’evasione, come tassare con un’aliquota fissa i redditi ottenuti all’estero e limitare la capacità delle imprese di spostare i loro redditi nelle filiali estere, in paesi con regimi fiscali agevolati. Inoltre, come parte di tale regime ibrido, le società sarebbero tenute a pagare le tasse su tutti i profitti che continuano a detenere all’estero. In teoria un tale sistema spingerebbe le società a mantenere negli Stati Uniti le loro sedi (ed un maggior numero di posti di lavoro), oltre a riportare indietro gli utili custoditi all’estero, senza mettere le mani sul livello di tassazione interna e sul gettito fiscale. Tale strategia avrebbe anche qualche attrattiva bipartisan: diverse versioni di questo modello di riforma sono state infatti presentate sia dall’amministrazione Obama, che dai rappresentanti repubblicani al Congresso.


Gli schemi finanziari di Microsoft

Un esempio eloquente delle modalità adottate dalle multinazionali per spostare i loro profitti viene fornito da Microsoft, leader mondiale nella produzione di software.

Quando qualcuno compra una copia di Office presso il Microsoft Store di Piazza Bellevue, a Seattle, il denaro che paga non prende la via breve per la sede della società, a Redmond, a quattro miglia di strada.

Dopo il calcolo delle imposte statali, il ricavo va ad una filiale di vendita di Microsoft con sede nello stato del Nevada.

Da lì, gran parte di quel denaro inizia una complessa migrazione su scala internazionale che porta, in ultima analisi, oltre Atlantico, con due fermate presso il paradiso fiscale dell’isola di Bermuda.

Negli ultimi 20 anni Microsoft ha costruito una rete di filiali per ridurre al minimo le tasse che paga ai governi di tutto il mondo.

Ma non è la sola. Molte multinazionali hanno creato strutture simili, riuscendo in alcuni casi a ridurre il loro carico fiscale quasi a zero.

Da una causa che ha condotto lo scorso anno in tribunale Microsoft e l’Internal Revenue Service ( IRS) sono emersi nuovi documenti con ulteriori particolari sulle attività poste in essere per costituire tale rete. Altri documenti processuali in precedenza sconosciuti, dati aziendali e scritture contabili provenienti dalle filiali di quattro continenti, offrono un quadro molto dettagliato sul business dell’evasione fiscale.

Dicevamo, nel caso dell’ acquisto della copia di Office a Bellevue Square, dopo aver pagato le tasse allo stato, l’azienda invia il ricavato alla controllata di Reno, in Nevada. Dopo lo sbarco in Nevada, più della metà del denaro va ad un’altra società con sede in Porto Rico. Tale società, dopo aver pagato una tassa locale del 2%, che rappresenta una quota dei costi della ricerca di Microsoft, trasferisce una parte del denaro rimanente ad una nuova società con sede in Irlanda.

L’ultima tappa è costituita da un’ulteriore società chiamata RI Holdings, la cui sede è situata presso lo studio legale a Hamilton, nelle isole Bermuda, territorio d’oltremare del Regno Unito in cui vige un’ imposta sulle società pari a zero.

Strutture simili coprono in tutto il mondo l’attività di Microsoft.

Dal 2001 al 2006  Microsoft ha portato a termine una serie di accordi aziendali con altri grandi gruppi industriali, in cambio di pagamenti anticipati, ottenendo così di poter spostare i diritti sul codice sorgente di alcuni software e altre entrate sviluppate in gran parte negli Stati Uniti, verso società controllate con sede nelle Bermuda, in Irlanda, a Singapore e a Porto Rico.

Secondo gli atti giudiziari e un’analisi dei documenti depositati dalla Microsoft, quegli accordi hanno consentito alla società di ridurre la sua fattura fiscale di alcune decine di miliardi di dollari. Microsoft possiede 108 miliardi di dollari di profitti custoditi in conti offshore. Questa è la prova della capacità della società nell’evitare di pagare non solo l’aliquota fiscale statunitense relativamente alta, ma anche l’ imposta sul reddito nel Regno Unito, in Germania e in altri paesi in cui vende i suoi prodotti.


Operazioni offshore

Il genere di architetture fiscali che Microsoft ha creato sono legali, e i rappresentanti dell’ azienda sostengono che questa paghi la giusta quantità di tasse nei paesi in cui opera.

“Noi serviamo clienti in centinaia di paesi in tutto il mondo e la nostra struttura fiscale riflette tale impronta globale”, ha fatto sapere la società attraverso un comunicato. Un portavoce ha osservato come la società abbia pagato 4,4 miliardi di dollari di imposte nel suo ultimo anno fiscale, ed ha aggiunto che l’aliquota fiscale pagata da Microsoft si trovava nel gruppo mediano delle società dell’indice S&P 500.

Secondo S&P Capital IQ, negli ultimi dieci anni il pagamento delle imposte di cassa di Microsoft ha in media un tasso effettivo del 21,7%.

Tale misura esclude le imposte differite in esercizi futuri mentre include alcune imposte versate una tantum, e comprende anche le imposte pagate sia agli Stati Uniti che ad altri governi. Tale aliquota pone la Microsoft al centro della classifica assieme ad altre imprese statunitensi di ITC.

Negli Stati Uniti l’aliquota federale di imposta sul reddito delle società è del 35%.

Guardando solo alle operazioni di Microsoft al di fuori degli Stati Uniti, tuttavia, in base ai dati da questa forniti, il tasso di imposta sulle società da questa pagato è stato del 4,5%. Esso è inferiore al tasso d’imposta in vigore in ciascuno dei paesi in cui l’azienda opera.

I governi di tutto il mondo hanno iniziato a prendere atto di quelle aziende che spostano i loro profitti per motivi fiscali.  Gli accordi fiscali stipulati da Microsoft negli ultimi anni hanno attirato l’attenzione del fisco negli Stati Uniti, nell’Unione Europea, in Cina ed in Australia.


Cosa fanno le altre corporations

Anche altre multinazionali, con sede sempre nello Stato di Washington, hanno ridotto il loro carico fiscale pagando un’aliquota inferiore a quella vigente negli Stati Uniti.

Secondo i dati di S&P Capital IQ, negli ultimi dieci anni la Boeing ha versato imposte di cassa secondo un’aliquota media effettiva del 2,8%. Un portavoce della compagnia ha attribuito tale agevolazione alle detrazioni ed ai rinvii consentiti grazie ai costosi progetti di investimento e sviluppo, quali, tra gli altri, il progetto del 787 Dreamliner.

Nello stesso periodo, l’aliquota fiscale effettiva media di Amazon.com è stata del 10,7%, mentre Starbucks ha versato al fisco il 30,5%.

Entrambe le società rientrano tra gli obiettivi del giro di vite dell’Unione Europea su quello che le autorità di regolamentazione hanno definito come un accordo fiscale potenzialmente sleale, concluso con le autorità locali del Lussemburgo e dei Paesi Bassi. Un portavoce di Starbucks ha dichiarato di non essere d’accordo con la valutazione fatta dall’Unione Europea, aggiungendo come l’azienda paghi più tasse di quante ne paghi una tipica grande impresa negli Stati Uniti.

Alcune imprese e gruppi di pressione da queste finanziati sostengono che l’aliquota fiscale sugli utili applicata negli Stati Uniti sia troppo elevata, offrendo in tal modo un incentivo a spostare sede e posti di lavoro all’estero. Le società – sostengono –  che hanno un dovere fiduciario verso i loro azionisti e gli individui, non dovrebbero essere biasimate quando fanno uso di manovre fiscali legali.

Per decenni i sistemi fiscali della maggior parte dei paesi sono stati molto chiusi, poichè le operazioni internazionali importanti che venivano concluse erano molto poche. Con la crescita internazionale delle imprese queste hanno cominciato a rendersi conto di come sia possibile, legalmente, risparmiare un sacco di soldi di tasse.

Per i politici ciò significa meno soldi nelle loro casse. Questo ha portato alla nascita di un movimento che combatte l’evasione fiscale delle imprese e cerca di riformare il sistema fiscale globale che favorisce le scappatoie.

Secondo Kimberly Clausing, un professore di economia al Reed College di Portland, lo spostamento dei profitti da parte dalle multinazionali è costato, nel 2012, al governo degli Stati Uniti tra i 77 e i 111 miliardi. Dalle ricerche condotte dal professore e’ emerso come l’uso da parte delle imprese dei paradisi fiscali mondiali abbia probabilmente ridotto le entrate del governo per oltre 280 miliardi di dollari.


La Creazione di barriere

Per poter ridurre il suo carico fiscale Microsoft ha investito decenni nella creazione di barriere tra il suo quartier generale di Redmond ed il denaro generato dalle vendite del software che li viene sviluppato.

I base a documenti societari tale attività è iniziata nel settembre del 1994, quando tre dei top manager di Bill Gates, specializzati nelle questioni tributarie e finanziarie, hanno apposto la loro firma sui documenti costitutivi della GraceMac Corp, con sede in Nevada.

A differenza degli altri uffici commerciali che Microsoft ha aperto in tutto il mondo in quel periodo, GraceMac non ha come scopo sociale quello di realizzare prodotti o di intraprendere iniziative imprenditoriali.

Il suo scopo, secondo la causa giudiziaria che vede Microsoft coinvolta, è stato quello di servire come una sorta di “scatola vuota” che questa avrebbe riempito con i proventi dei diritti di royalty relativi al software realizzato nello stato di Washington. GraceMac è stata gestita da Monte Miller, che, attraverso una società con base a Las Vegas, gestisce diverse holding in Nevada e nel Delaware, per conto di clienti che risiedono altrove.

Miller ha confermato la sua associazione con GraceMac, ma per il resto si è rifiutato di rilasciare commenti.

Nel decennio successivo Microsoft ha fondato almeno altre 55 filiali sempre nel Nevada, uno stato dove non esiste l’imposta sul reddito delle imprese. Tra queste anche un ufficio a Reno che sarebbe servito come sede legale per le vendite di Microsoft Windows. Le sedi nel Nevada hanno permesso a Microsoft di evitare di pagare quelle che sarebbero state tra le sue più salate fatture fiscali nello stato di Washington: la tassa sulla royalty del software. Secondo un’analisi fornita dalla compagnia, in oltre un decennio di vendite a clienti residenti fuori dallo stato, i risparmi sul conto fiscale della società sarebbero stati circa un centinaio di milioni di dollari.

Tuttavia non si è trattato di una strada a senso unico. Quest’anno Microsoft non ha fatto obiezioni quando l’amministrazione statunitense ha posto fine alla sospensione dell’ imposta sulle sue vendite, dovuta agli investimenti in tecnologia e sviluppo. Da tale sospensione il governo prevede di incassare da Microsoft 128 milioni di dollari in quattro anni.


Gli ostacoli alla tassazione ridotta sulle vendite 

Durante la prima metà degli anni 2000, quando gli affari internazionali di Microsoft stavano crescendo rapidamente, la struttura del Nevada sembrava servire da modello per le sue operazioni realizzate su scala mondiale.

Microsoft ha creato una serie di centri di vendita che, in cambio del pagamento di una quota iniziale alla capogruppo, oltre al pagamento dei costi di ricerca e sviluppo, avrebbe acquisito il diritto al profitto realizzato dalla vendita del software Microsoft nella propria zona.

Il primo di questi centri è stato istituito nel 2001 in Irlanda, uno dei paesi con la più bassa aliquota fiscale nell’ Europa occidentale. Un altro centro venne realizzato nel 2004 nella città-stato centro asiatico del business di Singapore. L’anno successivo Microsoft ha convertito la sua unità di Porto Rico, un impianto per la produzione di CD costruito usufruendo di un credito d’imposta, in quello che sulla carta risultava essere centro di vendite per le Americhe.

Realizzando ufficialmente le sue vendite da luoghi con bassi livelli di tassazione e bassa densità di popolazione, Microsoft ha evitato di pagare la tassa di imposta sul reddito sulle vendite concluse nei paesi in cui vive la maggior parte dei suoi clienti. Le agenzie fiscali locali, in genere, ignorano le vendite delle società estere che non hanno una stabile organizzazione a livello locale.

E ciascuno dei tre punti vendita regionali di Microsoft è stato strutturato per spostare una parte dei profitti nelle Bermuda, il che significa una fetta del denaro delle vendite a clienti che risiedono in un serie di paesi che vanno dall’Australia alla Germania, non è tassato in quel territorio.


Come funziona la struttura di Microsoft nel Regno Unito.

Quando qualcuno compra una copia di Office a Londra, la stragrande maggioranza dei proventi della vendita lascia il paese prima che a Microsoft venga addebitata la tassa sul reddito delle società. Questo perché la società che detiene i diritti a vendere prodotti Microsoft in Inghilterra è una società di diritto irlandese.

Nell’anno fiscale 2014 Microsoft ha venduto circa 3,3 miliardi di dollari di prodotti a clienti del Regno Unito.  La consociata locale della società ha pagato 33 milioni di dollari di imposte sul reddito, con un’aliquota approssimativa di circa il 3%, e tutto grazie a quella società con base in Irlanda. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, che sostiene e coordinare la politica economica tra le nazioni sviluppate, nel mese di ottobre ha proposto la più grande revisione del sistema fiscale globale degli ultimi decenni, uno sforzo per costringere le autorità di regolamentazione fiscali a fare in modo che il reddito imponibile delle imprese si allinei alla reale attività economica svolta dalle società in ciascun paese.

Un’altra raccomandazione è che le aziende, in modo spontaneo, forniscano ai governi informazioni sui luoghi in cui pagano le tasse e generano reddito.

Microsoft si è rifiutata di fornire di dettagli sulla ripartizione geografica dei ricavi e del carico fiscale della società.

L’economista del Reed College Clausing ha dichiarato che le imprese sostengono che si tratti di informazioni riservate. Ma forse il luogo nel quale si pagano le tasse non dovrebbe essere un elemento vitale nella strategia di business.


L’esigenza di un nuovo sistema fiscale

La realtà è che il sistema fiscale globale statunitense è il retaggio di un’epoca passata. Nei tempi andati il fatto che esso avesse carattere globale importava meno, sia perché gli Stati Uniti erano una parte importante dell’economia mondiale, e sia perché essere presenti negli USA rendeva le aziende più attraenti agli azionisti. Ma questi vantaggi stanno diminuendo. Oggi investire all’estero è più attraente e più facile che mai, e il capitale è più mobile. Mentre si riducono le differenze economiche tra gli Stati Uniti e gli altri paesi, uno studio del 2015 condotto sui sistemi fiscali ha portato alla conclusione secondo cui la capacità degli Stati Uniti di sostenere la propria condizione di eccezione fiscale è destinata a declinare.

E inoltre le aziende sono oggi molto meno legate al loro paese d’origine come lo erano una volta. Si guardi alla Pfizer. Il suo C.E.O. è nato in Scozia e cresciuto in Rhodesia. Oltre il sessanta per cento delle sue entrate proviene da oltreoceano, e la maggior parte dei suoi dipendenti lavora all’estero.

E ‘difficile immaginare che cosa renda una società come quella realmente americana.

È vero, molti comparti industriali statunitensi, tra cui big pharma, hanno pesantemente puntato sulla ricerca finanziata dal governo, ma le imprese straniere sono state capaci di trarre profitto da tale ricerca con la stessa facilità, senza dover subire un’ extra tassazione.

Sicuramente le società giocano la carta del patriottismo quando ciò fa comodo ai loro scopi. Ma la loro vera fedeltà risiede più in profondità. E mentre il Congresso potrebbe adottare delle misure per frenare nel breve periodo le inversioni fiscali, Hillary Clinton, ad esempio, ha proposto una rapida “tassa di uscita” ad ogni società che decide di praticare l’inversione,  tali misure non fanno che rinviare un’ oramai necessaria riforma di sistema. (cm)

http://www.newyorker.com/magazine/2016/01/11/why-firms-are-fleeing

http://www.seattletimes.com/business/microsoft/how-microsoft-parks-profits-offshore-to-pare-its-tax-bill/

 

L’era delle gole profonde

its-a-secret

 

Le condizioni con le quali vengono tutelate le persone che rivelano alle autorità competenti comportamenti illeciti sono sicuramente migliorate rispetto al passato, anche se le società, spesso oggetto di tali rivelazioni, continuano a difendersi e ad “offendere” anche contro i loro stessi interessi.

Il recente scandalo sulle emissioni dei motori diesel truccate che ha investito il gruppo tedesco Volkswagen ha causato un profondo imbarazzo non solo sui managers del gruppo e sui soci, ma anche sugli stessi soggetti dalle cui bocche erano emerse le prime rivelazioni.

La compagnia automobilistica, non si è capito bene se per discolparsi o per fornire un contributo concreto alle indagini, ha fissato un termine per i suoi dipendenti per fornire ulteriori informazioni, in cambio del ritiro del licenziamento o della richiesta di risarcimento danni (ma non della chiamata in giudizio). Il ruolo degli informatori nel rivelare il meccanismo fraudolento dietro i dati rilasciati sulle emissioni di biossido di carbonio è stato già determinante, anche se nessuno alla Volkswagen ha osato rivelare alcunché riguardo allo scandalo collegato della falsificazione delle emissioni di ossido di azoto nel corso dei test. In quest’ultimo caso infatti, un ruolo determinante lo ha svolto una ONG, con molta probabilità dietro l’impulso di alcune gole profonde della Commissione europea.

Quando la Volkswagen ha cominciato a raccogliere i frutti della sua “amnistia”, il processo innescato dalle denunce di soggetti interni al gruppo ha contagiato anche altre imprese, come la Takata, una società giapponese leader mondiale nella produzione di airbag, recentemente investita da uno scandalo relativo alla pericolosità di alcuni suoi prodotti. / Ancora, un’inchiesta giornalistica realizzata recentemente dalla BBC ha svelato come la British American Tobacco, avesse corrotto alcuni funzionari di due nazioni africane, Burundi e Ruanda, per far fallire un programma contro il fumo condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Secondo le statistiche, l’attività di delazione, sia nel settore privato che in quello pubblico, è in costante aumento a partire dal 2007, consentendo così di fare emergere numerosi casi di corruzione e di collusione promossi da alcune aziende, quasi sempre al fine di ottenere risultati positivi in termini di fatturato. Nel 2011 la Security and Exchange Commission (SEC), l’organo di vigilanza della borsa statunitense, ha aperto un ufficio apposito, il “Whistleblower Office“, per sostenere tutti gli “insider” che decidevano di rivelare inefficienze e ruberie da parte delle imprese o di singoli individui con i quali o per i quali avevano svolto la loro attività professionale.

In base alla procedura, chiunque può, attraverso un format che consente di mantenere l’anonimato, fornire un suggerimento o una denuncia vera a propria. Questa viene in breve tempo esaminata da due avvocati che, se ve ne sono i presupposti, possono intraprendere un’azione legale; in alternativa possono decidere di accantonarla, in attesa di successive denunce aventi lo stesso soggetto.

Il numero di denunce ricevute annualmente dall’ufficio è in costante crescita; attualmente supera le 4000.

Secondo le statistiche realizzate dall’Associazione di Investigatori esperti in crimini finanziari, la modalità della denuncia anonima è risultata essere molto più produttiva sia delle regolamentazioni esterne che degli audit interni.

Ma i grandi gruppi industriali, malgrado i risultati positivi di questo genere di attività, hanno sempre scoraggiato i comportamenti delatori dei loro dipendenti.

E’ il caso, ad esempio, di Paul Moore, l’ex capo dell’Ufficio Rischi del gruppo bancario inglese HBOS, che nel 2004 avvertì le dirigenza dell’istituto che l’attività di credito condotta dalla banca era in pesante passivo. Moore subì un’attività di mobbing molto pesante, tanto da spingerlo a rifugiarsi nell’alcool e negli antidepressivi. Ma le sue denunce erano corrette, e così che la banca dovette essere sottoposta ad un programma di salvataggio.

L’authority inglese dei mercati finanziari ha incoraggiato le imprese a promuovere l’attività di delazione attraverso la nomina di un manager col compito di raccogliere le denunce.

L’Inghilterra è al terzo posto tra i Paesi del G 20 che dispongono della legislazione migliore in materia di tutela legale dei delatori. Al primo e secondo vi sono, rispettivamente, Turchia e Canada.

Anche l’Unione Europea si sta muovendo in questo campo, realizzando, grazie all’intervento del Consiglio d’Europa, un elenco di comportamenti virtuosi, destinati a 47 paesi dell’Europa orientale ed occidentale. Il sostegno del Consiglio a questo genere di attività si muove anche attraverso il suo braccio giudiziario, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha adottato diverse sentenze a sostegno degli informatori.

La Romania, l’ultimo dei paesi che ha aderito all’UE, ha adottato misure molto restrittive su quesito tema, mentre alcuni vecchi paesi membri quali la Germania, dispongono ancora di una normativa molto debole. A di fuori dell’UE, la Svizzera dispone di una legislazione molto rigida, così come dimostra la recente condanna a cinque anni di reclusione comminata dalla Corte federale ai danni dell’ex informatico della banca svizzera HSBC, Hervè Falciani.

Attualmente il migliore sistema di protezione offerto agli informatori è quello degli Stati Uniti, che si basa su tre elementi: la tutela del lavoro, l’anonimato ed un sistema di premi. Complessivamente il programma ha distribuito, dal 2011, ben 22 premi, con una media di 2.5 milioni di dollari.

Il premio può arrivare a raggiungere il 30% di tutte le multe comminate dal governo al datore di lavoro denunciato. Il programma raccoglie anche denunce dall’estero, da parte di cittadini non statunitensi. Una sentenza emessa nel mese di ottobre ha stabilito che gli informatori possono citare in giudizio sia i singoli membri del consiglio di amministrazione di una società, che la società in quanto persona giuridica, nel caso in cui si fossero resi personalmente responsabili delle violazioni denunciate. Tuttavia, nonostante la normativa, non sempre il governo statunitense si è mostrato particolarmente riconoscente verso i cittadini delatori: Breadley Birkenfeld che fornì al fisco a stelle e strisce informazioni essenziali sui suoi contribuenti titolari di conti in alcune banche svizzere, e responsabili di ingenti evasioni delle imposte, ha ricevuto un premio di 104 milioni di dollari, al lordo delle tasse, dall’Agenzia delle entrate (IRS, Internal Revenue Service), anche se ha dovuto sopportare ben 66 mesi di limitazione della sua libertà, tra detenzione e libertà vigilata.

Ma l’approccio premiale adottato dagli Stati Uniti non viene valutato positivamente in Europa, dove le taglie sono viste come un incentivo verso comportamenti abusivi. Lo stesso ufficio delatori della SEC ha ammesso di avere dei problemi con i “delatori seriali”, soggetti dediti gran parte del loro tempo a presentare denunce false per avanzare fittizie richieste di premi o risarcimenti.

Del resto le ritorsioni da parte delle aziende sono in costante crescita, attualmente intorno al 20%, così come denuncia l’osservatorio sui comportamenti delle società del National Business Ethics Survey. In molti casi sono gli stessi dipendenti che, firmando degli accordi sulla riservatezza, si impegnano a non essere assistiti da avvocati esterni in caso di vertenza legale con la società, o a fornire un preavviso prima di segnalare qualsiasi comportamento anomalo ad un organismo esterno alla società, o ancora a rinunciare ad eventuali premi in caso di denunce all’esterno. In base ad un sondaggio recente, un quinto dei lavoratori impiegati negli Stati Uniti ha sottoscritto un accordo di questo genere, al fine di scoraggiare eventuali loro iniziative delatorie. Sebbene in apparenza siano illegali, tali accordi vengono giustificati dalle società datoriali in base ad una supposta esigenza di tutela dei propri segreti commerciali. Recentemente la SEC ha promosso dei ricorsi contro questo genere di accordi, ritenuti lesivi delle prerogative dei lavoratori. Tra le società che sono state multate dalla SEC, vi  e’ la KBR, una società di progettazione che ha fatto firmare ai suoi dipendenti un accordo in base al quale ogni dipendente che avesse promosso un’inchiesta interna da parte di terzi senza il consenso della società, sarebbe stato licenziato. Quando le imprese istituiscono, al fine di migliorare la propria organizzazione, un sistema che promuove la delazione interna, il più delle volte i lavoratori non ne fanno uso, non tanto per timore di ritorsioni, quanto perché sono convinti che la denuncia non ottenga alcun risultato. Spesso le società considerano gli informatori come persone mosse dall’invidia o dal desiderio di vendetta o di arricchimento. Ma le statistiche dicono altro:  gran parte degli informatori sono motivati dal desiderio di migliorare la loro condizione e quella dei loro colleghi. Questo spiega  perché il 90% di loro, prima di denunciare all’esterno, si rivolga agli organismi interni della società. Potendo scegliere, dunque, i lavoratori preferiscono avvertire piuttosto che denunciare.

Tutto questo per dire che le denunce, anziché danneggiare, aiutano l’attività economica. Le notizie negative, prima o poi verranno fuori comunque, e se dovesse emergere l’intenzione della dirigenza di nasconderle, l’effetto finale sarà ancora più negativo. Ed il sostegno alla delazione, anziché scoraggiare, favorisce i comportamenti virtuosi da parte dei dipendenti, così come la ritorsione della società favorisce il dilagare di illeciti.

Trad cm

http://www.economist.com/news/business/21679455-life-getting-better-those-who-expose-wrongdoing-companies-continue-fight

  

La Svizzera pubblica l’elenco degli evasori fiscali

svizzera

ll governo e centinaia di banche svizzere sono rimasti coinvolti nell’attività di repressione condotta dal governo degli Stati Uniti contro gli evasori fiscali. Dopo sei anni di successi quasi ininterrotti da parte del paese a stelle e strisce e dei suoi banchieri, può non sorprendere il fatto che ora la Svizzera stia pubblicando i nomi degli evasori fiscali stranieri. Alcuni osservatori hanno definito tutto questo come la definitiva chiusura del capitolo della segretezza delle banche svizzere, che secondo alcuni, risale al 1930. Il Deutsche Welle, citando il quotidiano svizzero Sonntagszeitung, ha dichiarato che il governo svizzero pubblicherà, sul suo giornale federale, l’elenco di nomi, date di nascita e nazionalità di presunti evasori fiscali.

I dati saranno accessibili al pubblico tramite Internet, così da permettere alle persone in lista di fare ricorso in tribunale contro la pubblicazione del oro nome. All’inizio del 2015 le autorità svizzere e l’Unione Europea hanno raggiunto un accordo per contrastare l’evasione fiscale. I magistrati svizzeri stanno ancora formalizzando le accuse contro la HSBC sulla base delle rivelazioni di Swiss Leaks.

E’ chiaro già dall’ultimo quinquennio come la protezione svizzera (la segretezza) venisse offerta a soggetti diversi da quelli che si pensava. In effetti una legge svizzera approvata nel 1934  dichiarava reato penale, per un banchiere o un impiegato di banca, rivelare l’identità dei clienti dell’istituto.  La legge in questione è ancora in vigore, ma negli ultimi anni è stata interpretata in modo molto meno restrittivo. La banca UBS AG  si è messa nei guai sia con l’agenzia delle entrate statunitense (IRS) che con il Dipartimento di giustizia (DoJ), lanciando migliaia di iniziative di auto denuncia nei confronti dell’IRS, modificando per sempre il regime del segreto bancario. Il Parlamento svizzero ha approvato una legge che consente alle banche di consegnare, alle autorità americane, le identità dei loro clienti, senza violare le leggi bancarie svizzere sulla segretezza. Dopo aver sostenuto un giudizio con l’IRS nel 2009 UBS  ha pagato 780 milioni dollari per fare ritirare le accuse che la vedevano complice dei ricchi americani condannati per evasione fiscale.

La banca svizzera UBS sta affrontando sempre più pressanti richieste di chiarimenti circa il fatto se abbia aiutato o meno alcuni ricchi cittadini americani ad evadere le tasse attraverso titoli al portatore, che sono esattamente ciò che sembrano, e che sono stati in gran parte messi fuori legge negli Stati Uniti alcune decine di anni fa. Dal momento che sono come il denaro, tali titoli sono stati utilizzati nel film poliziesco dal titolo Die Hard (ricordate tutti quei titoli al portatore che galleggiavano dopo l’esplosione?). Naturalmente, non tutte le indagini portano a dei risultati. E nemmeno ogni accusa.

Una grave perdita per i federali è stata quando il signor Raoul Weil, il super banchiere di UBS, è stato assolto dall’accusa di evasione fiscale. Il governo degli Stati Uniti aveva accusato Weil ed i suoi subordinati di utilizzare strutture fittizie in modo da consentire ad alcuni clienti statunitensi di eludere il fisco. Il signor Weil è stato incriminato nel 2008, ed infine arrestato in Italia nel 2013, grazie alla collaborazione dell’ Interpol. L’accusa sosteneva che tra il 2002 e il 2007, la divisione dell’ UBS guidata dal signor Weil aveva aiutato 20.000 clienti americani a nascondere all’IRS circa 20 miliardi di dollari.

L’IRS ha incriminato e processato altri banchieri stranieri e consulenti, lanciando un monito a tutti i consulenti di banca. Renzo Gadola, dal 1995 al 2008 banchiere per UBS, è stato condannato alla pena di cinque anni di libertà vigilata, dopo aver fornito i nomi dei suoi colleghi banchieri che hanno aiutato i ricchi americani a non pagare le tasse. Un altro consulente di Credit Suisse Christos Bagios, ex di UBS, è stato accusato di avere aiutato dei clienti statunitensi della banca a nascondere fino a 500 milioni di dollari all’ IRS, quando ancora lavorava per UBS.

Molti nomi e indirizzi vengono aggiunti alla montagna di informazioni raccolte attraverso le denunce volontarie, gli informatori e la nuova normativa anti evasione fiscale offshore (FATCA). Antesignana di tutte le leggi sulla denuncia volontaria, FATCA è una legge degli Stati Uniti pervasiva che vincola le banche straniere e le istituzioni finanziarie a redigere dei rapporti sui cittadini statunitensi.

In Svizzera più di 100 banche partecipano ad un programma che le obbliga a rivelare i conti intestati a cittadini americani e non dichiarati, pagando delle sanzioni.  Numerosi contribuenti statunitensi hanno rivelato i loro conti offshore, e nel giugno del 2014 l’IRS ha rinnovato e ampliato i suoi programmi. Nel frattempo, la principale controllata del gruppo bancario Credit Suisse AG è stata  dichiarata colpevole ed ha pagato una penale di 2,6 miliardi di dollari. Per i titolari dei conti e le banche, l’autodenuncia e le sanzioni sono di gran lunga preferibili all’alternativa. Ed è chiaro che la semplice chiusura dei conti esteri non rappresenta un’alternativa rispetto al chiudere tutte le pendenze con l’IRS.

Grazie a circa 120 procedimenti e decine di migliaia di americani che si fanno avanti per pagare le tasse, le sanzioni e gli interessi, l’IRS ha raccolto diversi miliardi. Probabilmente, nessuna entrata offshore, conto corrente o trust è rimasto ancora segreto.

Articolo tratto da: http://www.forbes.com/

Titolo originale: Switzerland Publishes Tax Evader List

Traduzione di CM

Le banche svizzere trasferiscono i loro consulenti in America Latina

UBS

L’ex dirigente della banca svizzera UBS, Stéphanie Gibaud, rilascia un’intervista al quotidiano Buenos Aires Herald prima di partire per l’Argentina.

Con l’ accusa di evasione fiscale nei confronti della banca HSBC, attualmente sotto i riflettori del Congresso statunitense, la “gola profonda” di un altro gigante bancario rinomato per la sua segretezza, la banca svizzera UBS, afferma di essere in viaggio per l’Argentina per testimoniare, e avverte che le economie emergenti rappresentano l’ultimo obiettivo dei banchieri che promuovono questo tipo di crimine.

Come capo della divisione Marketing e Comunicazione della filiale francese della più grande banca svizzera, Stéphanie Gibaud ha scoperto che il suo lavoro di PR era stato illegalmente utilizzato per attrarre alcune delle persone più ricche di Francia, verso alcuni sistemi di evasione fiscale.

Intervistata dal Buenos Aires Herald, Gibaud racconta di come, a seguito della crisi finanziaria del 2008, la pressione da parte degli Stati Uniti e delle autorità di regolamentazione europee abbia spinto i banchieri a spostare i propri esperti fiscalisti verso le economie emergenti come quelle dell’ America Latina.

Ciò che l’ex manager si aspettava era di essere chiamata a testimoniare di fronte alla Commissione Bicamerale argentina, per rivelare alcuni dei meccanismi sconosciuti utilizzati dai grandi evasori fiscali.

E’ giusto affermare che il suo lavoro in UBS è stato quello di contribuire, anche se inconsapevolmente, ad attirare i risparmi di persone molto ricche verso alcuni paesi, in modo tale da sottrarli al fisco?

Ho svolto il ruolo di responsabile delle pubbliche relazioni per la banca UBS, il che significa che si viaggia in tutto il mondo e si intrattengono i clienti, in modo da convincerli ad investire i loro soldi con me, piuttosto che con i miei concorrenti. La maggior parte del budget della divisione che gestivo era destinata a sviluppare collegamenti con i networks del lusso, per invitare clienti e potenziali clienti in Francia. Ma fin dal primo giorno mi sono resa conto di lavorare con consulenti svizzeri, pur essendo in Francia, che poi ho scoperto essere una pratica illegale. Quando lo scandalo UBS è emerso negli Stati Uniti, ho capito che i clienti americani non potevano essere visitati dai consulenti svizzeri, così ho chiesto al mio direttore se quello che avevamo fatto era normale. A partire dal giorno in cui ho iniziato a fare queste domande, le cose hanno cominciato a complicarsi. Sono stata giudicata come una persona fastidiosa, hanno cominciato mentirmi, fino a trattarmi come una matta con molestie e cose più gravi.

Le autorità ignoravano, non erano interessate o semplicemente rappresentavano interessi non trasparenti (illegali)?

Un paese come la Francia non può essere disinformato. Questi consulenti svizzeri erano qui tutto il tempo, ed erano tra i 100 e i 150, provenienti da Basilea, Losanna, Zurigo e Ginevra. Ho anche lavorato con consulenti provenienti dal Belgio, da Monaco e dal Lussemburgo – che sono anche paradisi fiscali molto vicini al mio paese -, i quali erano qui per trovare clienti disposti a investire i loro soldi altrove. Non mi venga a dire che tutto questo è stato fatto senza che la dogana francese, la polizia, la Banca Centrale di Francia e tutti gli altri se ne accorgessero. Il fatto è che quando il reato coinvolge così tanti soggetti, tutti tacciono.

Come è andato il suo incontro con il presidente della AFIP, l’agenzia delle entrate argentina, Ricardo Echegaray?

Mr. Echegaray e altri quattro signori hanno avuto un incontro con Falciani (l’informatore ex informatico di HSBC) e con me, sei mesi fa, presso il consolato argentino a Parigi. Hervé aveva programmato questo appuntamento con il signor Echegaray, al quale ha detto che eravamo pronti ad aiutare l’Argentina contro l’evasione fiscale. Hervé ha poi spiegato chi ero, in quanto il signor Echegaray non aveva ancora sentito parlare del caso UBS. Gli abbiamo detto che possiamo essere molto utili all’Argentina, spiegando loro come funziona la banca, essendo degli addetti ai lavori. Sappiamo come decodificare tutto quello che fanno. Quello che a una persona normale può sembrare molto oscuro, a noi è molto facile da capire.

Che cosa gli ha spiegato?

Gli ho spiegato la strategia della banca era quella di penetrare networks di persone. E gli ho detto anche che quando il caso degli Stati Uniti contro UBS è emerso nel 2009, la Svizzera ha comunicato per prima che le autorità di regolamentazione europee e statunitensi avrebbero preso dei provvedimenti anche contro queste banche così, tra il 2009 e il 2010, UBS ha iniziato a focalizzare la propria attività sui BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) cercando di penetrare le reti di potenziali clienti nei mercati emergenti. Uno dei miei capi precedenti, il presidente di UBS nel periodo 2007-2008, Gabriel Castello, è finito a lavorare per UBS Sud America. Altre banche svizzere probabilmente hanno fatto altrettanto.

Così il vostro ex capo sta lavorando in America Latina, cercando molto probabilmente di sedurre i clienti latinoamericani convincendoli a spostare i loro soldi altrove.

Assolutamente. Conosco la loro strategia di vendita. Ne hanno diverse, una per ogni network, ad esempio ne hanno una per i giocatori di calcio e di tennis. Ho tutte le loro strategie di vendita per il Sud America.

È qualcosa di simile ad un manuale su come attrarre questi clienti?

Quando sei un consulente è come se hai venduto delle auto: si dispone di una quota di vendite, ma invece di vendere 20 o 30 Mercedes l’anno, il vostro obiettivo è quello di attrarre, diciamo, 5, 10 o 15 milioni in banca, a seconda se sei un consulente giovane o uno più esperto. È necessario disporre di una raccolta netta di denaro fresco in entrata. Per raggiungere questi obiettivi sono previsti numerosi strumenti interni, che spiegano come fare. Io li conosco tutti.

Oltre a queste strategie, hai anche dato a Echegaray una lista di cui eri in possesso?

Ho letto nei media della lista, ma per quanto ne so non esiste una lista che riguardi UBS, a meno che qualcun’altro non l’abbia, ma non io. Abbiamo spiegato a Echegaray che io posso dare loro una mano in merito alla strategia della banca, aiutarlo a capire come sono stati targhettizzati i clienti argentini, e come la banca li aiuta a posizionare i soldi in conti off-shore, e in quali paesi.

E’ venuta in Argentina per testimoniare davanti alla Commissione Bicamerale, che attualmente sta seguendo il caso di HSBC?

Il signor Echegaray avrebbe dovuto rispondere a me questa settimana per quanto riguarda le informazioni sul mio alloggio, quindi non so ancora la data, ma sì, penso di si.

Attirare l’attenzione

Secondo Lei la crisi finanziaria ha centrato maggiormente l’attenzione sulle banche?

Sicuramente lo ha fatto. UBS, che è una delle più potenti banche del mondo, è stato riconosciuta responsabile in tre crisi, la crisi dei mutui subprime, in seguito è emerso che UBS era la banca di supporto di Bernard Madoff (condannato per appropriazione) in Lussemburgo, e poi c’è anche la storia americana che ha visto coinvolto Brad Birkenfeld, l’ex consulente che è andato a raccontare alle autorità americane che “il mio lavoro come consulente è quello di aiutare tutti i clienti americani a nascondere i loro soldi alla IRS (Internal Revenue Service l’Agenzia delle Entrate statunitense).”

Che cosa è successo prima?

Nel 2008 nessuno qui in Europa parlava di evasione fiscale, riciclaggio, paradisi fiscali. Hanno sempre detto che si trattava di casi eccezionali, ma nessuno ha detto che era la banca ad organizzare il riciclaggio di denaro a livello internazionale. In quel momento ho capito che la banca per la quale lavoravo qui in Francia non era mai stata redditizia. Una banca di gestione patrimoniale che non è redditizia, è qualcosa di strano. Hanno aperto filiali in paesi on-shore come Francia, Spagna, Germania, Italia, Grecia, Stati Uniti, Canada, ma qual è lo scopo del gioco se la controllata è un’entità che non rende? Dove finiscono i soldi?

Hai raccontato che eravate seguiti dai Servizi segreti a causa del vostro attivismo, come è potuto accadere?

Nel 2011 sono stata contattato da Antoine Peillon, un giornalista francese,  al quale i servizi di intelligence francesi  avevano detto che ero pedinata e che i miei telefoni erano intercettati.

Faccio un esempio: quando lavoravo come PR per UBS ho trascorso due settimane a Roland Garros, il torneo francese di tennis open, con incredibili giocatori argentini, ed ero costantemente pedinata durante tutto il torneo, erano dietro di me ogni giorno.

Ora le autorità sono più collaborative?

Dall’ingresso al governo di Francois Hollande, nel 2012, le cose sono cambiate. Il giudice sembra vicino a chiudere il caso, e UBS potrebbe pagare una multa il cui importo massimo previsto è di 5 miliardi di euro. Tuttavia, si è scoperto che il nostro ex ministro al Bilancio, Jérôme Cahuzac, aveva un conto presso UBS a Ginevra che non aveva mai dichiarato. Non si può chiedere ai cittadini di non evadere le tasse quando si è i primi a farlo. E da Bercy, il ministero delle Finanze francese, hanno detto che stanno combattendo l’evasione fiscale, ma sappiamo che alcuni dei nomi degli evasori non saranno mai pubblicati e che alcune persone non andranno incontro ad alcun tipo di conseguenza .

Vuoi dire persone con incarichi pubblici?

Sì.

La sicurezza del Whistleblower

Che tipo di aiuto pensi sia necessario per incoraggiare gli informatori?

Abbiamo bisogno di leggi che siano approvate ovunque. Gli Stati Uniti hanno le migliori leggi (per gli informatori), anche se il fenomeno è piuttosto limitato quando si va a vedere quello che è successo a Edward Snowden o a Chelsea Manning, ma almeno nel settore fiscale le condizioni sono migliori.

Per noi qui in Francia la situazione è terribilmente complicata. Abbiamo bisogno di pagarci i nostri avvocati, abbiamo bisogno di un posto di lavoro (magari come dipendenti pubblici per il ministero delle Finanze o qualsiasi altra cosa). In questo momento non sto ovviamente lavorando, perché una volta che fai una cosa di questo tipo, dopo, nessuno vuole più assumerti, dato che tutti pensano che sei pericoloso, anche se abbiamo aiutato il nostro paese. Non dovremmo essere trattati come dei fuorilegge.

Avete perso molto a causa di quello che avete fatto?

Sì. Si perde tutto, la salute, gli amici, il lavoro, la carriera, tutto crolla. Perché i governi sono così riluttanti a proteggerci? Forse perché le nostre democrazie non sono in qualche modo democrazie, o forse perché ci sono leggi per le persone normali che non hanno alcun valore per alcune elite, siano essi politici o personaggi estremamente ricchi? Siamo considerati persona non grata. Ma ciò che facciamo è per l’interesse generale. Non lo facciamo per essere ricchi o famosi. Quando ho rifiutato la richiesta di UBS di distruggere i miei file, non l’ho fatto per avere il mio nome sui tutti i giornali.

Avrebbero dovuto proteggerci da tutto questo, o nessun altro seguirà più il nostro esempio.

@ignacioportes

traduzione di CM

Su ↑