Il neofascista che aiutò Falcone

E’ il 13 febbraio del 1977 quando l’ex comandante dell’ala militare di Ordine Nuovo, Gianluigi Concutelli, viene arrestato in un appartamento al centro di Roma in via dei Foraggi.
Nel covo del terrorista viene ritrovata una notevola quantità di armi, tra cui un mitra Ingram M10 con silenziatore uguale a quello impiegato nell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, oltre a dell’esplosivo e a undici milioni di lire provenienti dal riscatto relativo al rapimento di Emanuela Trapani.
Figlia dell’amministratore delegato della Hellen Curtis, la ragazza era stata tenuta segregata per quaranta giorni e quindi liberata a seguito del versamento di un riscatto che si sarebbe aggirato tra i dieci e i venti miliardi di lire.
Il capo della banda dei rapitori Renè Vallanzasca, sul quale pendevano già tre ergastoli, era statato l’unico del gruppo ad essersi mostrato alla giovane privo di passamontagna.
Chiamato a deporre al processo contro Ordine Nuvo, Vallanzasca ribadirà la stessa versione fornita da Concutelli, ovvero che pur non conoscendo l’ordinovista (lo conoscerà solo in seguito, in carcere), nè avendo mai fatto parte o sostenuto economicamente ON, quei soldi erano finiti a Concutelli in quanto quest’ultimo aveva ricevuto l’incarico di trovare une serie di appartamenti a Roma per la banda del criminale lombardo. Quei milioni costituivano dunque gli affitti e i depositi per gli immobili locati.
C’è un nome tuttavia che svolge in quell’epoca, dal 1977 al 1980, un ruolo di catalizzatore tra terrorismo nero e delinquenza comune: Aldo Semerari.
Eminente psichiatra forense, dotato di un certo peso all’interno della procura romana essendo amico personale dell’allora procuratore capo Giovanni De Matteo, amicizia emersa in occasione dell’omicidio del sostituto procuratore Mario Amato, Semerari è stato una sorta di puparo per conto di Licio Gelli e della Loggia P2.
Perito di parte per conto di diversi esponenti della Banda dell Magliana, avendo fatto ottenere perizie di infermità mentale e quindi di incompatibilità col carcere ad Alessandro d’Ortenzi, Nicolino Selis e Marcello Colafigli, Semerari aveva ricoperto lo stesso incarico anche per conto di importanti figure della criminalità quali lo stesso Vallanzasca, Franco Giuseppucci, Jacques Berenguer e Albert Bergamelli.
Stando a quanto riferito da Fulvio Lucoli, ex Banda della Magliana, Semerari propose a D’Ortenzi di collocare alcune bombe e di compiere una serie di rapimenti di persona, fornendo anche un elenco di nominativi di eventuali obbiettivi.
In cambio Semerari si proponeva di fare uscire dal carcere gli eventuali responsabili in caso di arresto, attraverso false perizie psichiatriche.
Nella sua villa di Poggio Mirteto Semerari incontrava, di volta in volta, ex appartenenti della Banda della Magliana, ex ordinovisti, dirigenti di Costruiamo l’Azione e del suo braccio armato Movimento Rivoluzionario Popolare, oltre ad appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari.
Secondo il malavitoso romano Paolo Bianchi “I nomi Vallanzasca-Concutelli rispettivamente in rapporto con Semerari nel periodo 1979-1980, sono significativi per il fatto che in quell’epoca, o meglio fin dai primi mesi del 1977, stabilirono un’intesa, assieme agli avvocati Arcangeli e Vitale, diretta a perseguire il medesimo disegno politico, che realizzasse nello stesso tempo gli interessi della delinquenza comune e di quella con finalità eversive; di tale progetto parlerò più diffusamente in un mio memoriale”.
Oltre all’arsenale, nell’appartamento di Concutelli gli inquirenti trovarono tutto l’occorrente per stampare volantini siglati Ordine Nuovo.
Come quelli lasciati sul luogo in cui venne ucciso Occorsio per rivendicarne la responsabilità.
Lo stesso Concutelli aveva ripetuto agli agenti che lo avevano arrestano che ad uccidere il sostituto procuratore in forze presso la procura di Roma sarebbe stato Ordine Nuovo.
L’immobile in cui Concutelli si nascondeva risulterà affittato a nome di Mario Rossi, un giovane neofascista di 21 anni che svolgeva il ruolo di collegamento con l’esterno per conto del terrorista nero.
Quando venne ucciso, il vice procuratore Occorsio stava indagando sui rapporti tra il mondo dell’eversione nera e tutta una serie di rapimenti avvenuti in Italia tra il 1974 e il 1976.
In particolare il magistrato aveva cominciato ad indagare sul conto dell’avvocato Gian Antonio Minghelli, che oltre a svolgere l’attività forense era anche segretario della loggia P2, ed aveva uno studio professionale situato proprio sopra la boutique del gioielliere Gianni Bulgari, una delle vittime dei citati sequestri.
Durante il rapimento del giovane ingegnere chimico Carlo Saronio, appartenente all’omonima famiglia di industriali farmaceutici e per il quale sarebbe stato pagato un riscatto di 470 milioni ma che non farà mai ritorno a casa ucciso dai suoi rapitori con una dose eccessiva di barbiturici, venne fermato dalla polizia a Roma per un banale controllo di documenti il braccio destro di Vallanzasca, Rossano Cochis.
Assieme a lui nella Porsche si trovavano il malavitoso romano Paolo Bianchi, e il neofascista milanese Giovanni Fecorelli.
Il fermo avveniva poco tempo prima dell’arresto di Concutelli.
Molto probabilmente il gruppo era stato a trovare l’ex ordinovista per consegnargli gli undici milioni pattuiti per la messa a disposizione di una serie di covi nella disponibilità di ON.
Nel corso del processo a Ordine Nuovo Concutelli rivelerà di avere progettato un attentato ai danni del sostituto procuratore di Firenze Pierluigi Vigna, che all’epoca stava indagando sull’uccisione del collega Occorsio.
Attraverso i numeri di matricola del mitra Ingram trovato nel covo di Concutelli, Vigna era riuscito a ricostruire la provenienze di quell’arma, facente parte di una commessa consegnata dall’azienda produttrice statunitense al Ministero della Difesa spagnolo.
Nell’appartamento in uso all’ ex ON gli inquirenti trovarono anche il biglietto da visita del noto rapinatore francese Albert Spiaggiari.
Il “braqueur” aveva fatto parte della banda che aveva portato a termine il “colpo del secolo”, una rapina da 15 miliardi di franchi ai danni della banca Societè General di Nizza.
Nella sua biografia “Io l’uomo nero” Concutelli racconta di essersi recato a Nizza dalla Spagna, in cui stava trascorrendo la sua latitanza, per assistere ad un concerto dei Rolling Stones. E’ probabile che in quell’ occasione l’ex ordinovista sia entrato in contatto con esponenti del “mileu” transalpino.
In libertà vigilata nel 1975, dopo aver fallito l’elezione al consiglio comunale di Palermo nelle liste del MSI, Concutelli fugge in Spagna sotto la protezione del caudillo Francisco Franco, dove già si trovavano numerosi neofascisti italiani latitanti. Con lui anche Stefano Delle Chiaie, con il quale incontrerà a Nizza Paolo Signorelli, nel tentativo di portere a termine il progetto di riunire quel che restava di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
Concutelli è stato anche processato e assolto assieme a Delle Chiaie per il tentato omicidio ai danni del presidente della DC cilena Bernardo Leighton e di sua moglie, entrambe in esilio a Roma.
Qualche tempo dopo si scoprirà che nell’appartamento sovrastante a quello abitato dalla coppia cilena, presso il residence Aurelio, abitava il noto criminale di origini francesi Albert Bergamelli. Le indagini successive al fallito attentato e relative all’arresto del boss italo-francese rivelarono che dal suo appartamento erano stati effettuati una serie di fori in corrispondenza del soffitto delle varie stanze di quello abitato dai due coniugi cileni. La coppia di esuli era stata dunque costantemente spiata e controllata durante tutto il periodo che precedette l’attentato ai loro danni.
Ma per scoprire quale fosse la natura della cospirazione dietro al loro tentato omicidio occorrerà attendere la cattura dell’unico responsabile arrestato. Stiamo parlando di Michael Townley, cittadino statunitense, ex appartenente alla CIA oltre che alla Dina, la polizia politica cilena. Processato per l’omicidio dell’ex ministro degli esteri durante il governo di Salvador Alliend, Orlando Letellier, ucciso assieme alla sua segretaria da una bomba piazzata nella sua vettura il 21 settembre 1976 a Washington, Townley rivelerà agli inquirenti che i tre omicidi, in realtà due omicidi e un tentato omicidio, di Leighton, Letellier e di Carlos Prats, quest’ultimo comandante in capo dell’esercito cileno e in seguito ministro della Difesa, erano tutti tra loro collegati.
Il responsabile delle operazioni, rientranti nella più vasta missione denominata Piano Condor che coinvolgeva l’intero sudamerica, era stato il capo della Dina cilena Manuel Contrera. Nelle varie azioni portate a termine dalla giunta militare cilena erano stati conivolti oltre ad alcuni neofascisti italiani tra cui Delle Chiaie, Maurizio Giorgi, Augusto Cauchi e Sandro Saccucci, anche alcuni esuli cubani anticastristi.
Saranno le rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra e dello stesso Concutelli a svelare il ruolo avuto da Junio Valerio Borghese nel presentare Delle Chiaie al dittatore cileno Augusto Pinochet, e in seguito al capo della Dina Contrera.
L’Operazione Condor fu dunque il frutto di un accordo tra alcune delle più sanguinarie dittature sudamericane, e in particolare dei loro servizi segreti militari, e l’amministrazione statunitense allo scopo di colpire tutti gli oppositori politici, inclusi quelli che avevano lasciato il loro paese per timore di ritorsioni. Oltre ad essere stato condannato dalla giustizia americana, nel 1987 Townley verà condannato a quindici anni anche dalla Corte d’Assise di Roma. Quache anno più tardi, nel 1995, saranno condannati anche Contreras e Neumann Iturriaga, con quest’ultimo il responsabile esteri della Dina, rispettivamente a 20 e 18 anni di carcere.

L’attentato all’Addaura e le indagini sull’omicidio Mattarella
Se è vero che a piazzare all’Addaura le 58 cartucce di pulverulento nitroglicerinato Brixia B5 sarebbero stati dei “picciutteddi”, con l’esplosivo fornito da Totò Riina a Salvatore Biondino e poi da questi ad Antonino Madonia, è evidente come la successiva campagna di delegittimazione ai danni di Giovanni Falcone che seguì quell’attentato facesse parte di un disegno molto più ampio, un progetto che Falcone aveva individuato definendo i suoi autori come delle “menti raffinatissime”.
Per l’attentato all’Addaura sono stati condannati in via defintiva Totò Riina, Antonino Madonia e Salvatore Biondino, e qualche anno più tardi anche Vincenzo e Angelo Galatolo.
Già i collaboratori Angelo Fontana e Vito Lo Forte avevano parlato della presenza all’Addaura di uomini dei servizi segreti, anche se le verifiche sui vari DNA ritrovati sul luogo non riuscirono a confermare tali rivelazioni.
Le indagine che seguirono alle varie missive firmate dal “corvo”, tendenti a delegittimare oltre a Falcone anche l’allora capo dell’anticrimine Gianni De Gennaro per un presunto ruolo dell’allora braccio destro del boss Stefano Bontate, Totuccio Contorno in funzione anticorleonese, misero in evidenza in quella vicenda l’attività svolta dagli ambienti neofascisti, oltre che dalla massoneria e in particolare dalla P2.
Tutto parte dalle indagini svolte da Falcone sul delitto Mattarella. Falcone aveva chiesto ed ottenuto la collaborazione del neofascista Concutelli, e attraverso le sue confidenze aveva riempito pagine e pagine di quaderni.
Concutelli si era trasferito da giovane con la famiglia in Sicilia, militando prima nel Fronte Nazionale di Borghese quindi nel Fuan e in ultimo in Ordine Nuovo. Era dunque la persona adatta a ricostruire la situazione politica che aveva preceduto quel delitto eccellente. Decisive in tal senso sarebbero state le sue confidenze sugli intrecci tra mafia e terrorismo nero. Concutelli non era solo il capo dell’ala militare di ON. Falcone aveva scoperto l’affiliazione di Concutelli alla loggia Camea, una filiazione diretta della P2 in Sicilia. Nel luglio del 1975 viene rapito a Lecce l’ex banchiere Luigi Mariano. La richiesta dei rapitori ai familiari di Mariano è di 280 milioni di lire. La polizia riesce ad arrestare un componente della banda, Luigi Martinesi, procuratore legale vicino al MSI ed ex aiutante del deputato Clemente Manco. Attraverso le indagini su Martinesi gli inquirenti arrivano a Concutelli. Lo accusano di essere la persona che materialmente aveva incassato i 280 milioni del riscatto, oltre ad avere avuto un ruolo di primo piano nel loro riciclaggio. Nell’ottobre di quello stesso anno Concutelli riesce a fare perdere le sue tracce. La ricostruzione del percorso compiuto da quei 280 milioni si deve agli inquirenti che hanno indagato sull’omicidio Occorsio. Quel riscatto era stato versato su di un conto presso la filiale londinese della Universal Banking Corporation, banca anomala già coinvolta in precedenza in vicende analoghe.
Ma non era la sola. Il sostituto procuratore di Firenze Vigna e il suo collega Pappalardo trovarono tracce di quei denari anche in Svizzera.
Ancora una volta è Concutelli a finire al centro delle indagini, in quanto titolare di due conti presso due banche svizzere, a Basilea e a Zurigo.
Si trattava dei conti utilizzati dalla galassia neofascista per riciclare i soldi frutto di rapine e sequestri di persona.
Vigna e Pappalardo incontrarono in Svizzera il giudice Renato Walty, che aveva indagato in precedenza sui conti svizzeri appartenenti alla malavita internazionale. Alcuni giorni prima dell’omicidio Occorsio, Walty era giunto nella Capitale per incontrare il collega romano.
Il magistrato elvetico aveva parlato a lungo con Occorsio prima di incontrare un altro suo collega che aveva svolto diverse indagini sui rapimenti avvenuti in quel periodo nel Lazio, Ferdinando Imposimato. Quest’ultimo in particolare si era occupato dei sequestri di Gianni Bulgari, di Alfredo Danesi e di Amedeo Ortolani.
Le indagini avevano messo in luce i legami tra i neofascisti, la banda dei marsigliesi e l’avvocato Minghelli, cioè la P2.
Concutelli, non si sa come, era venuto a conoscenza degli elementi rilevanti del lavoro di Occorsio, tanto da tentare un incontro con il giudice Walty presso l’hotel in cui questi alloggiava.
Grazie ai nuovi elementi investigativi Falcone era riuscito a fare imprimere all’inchiesta Mattarella, fino a quel momento rimasta ferma, una nuova spinta. Gli inquirenti avevano in programma di emettere nuovi mandati di cattura nei confronti di alcuni esponenti della galassia neofascista.
Tutto questo, più di ogni altra cosa, sembra essere stato motivo sufficiente a giustificare l’ondata di delegittimazione e di discredito che investì Falcone a seguito dell’attentato all’Addaura.
La conferma di ciò arriva dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, che dopo essere stato interrogato dai magistrati di Caltanissetta che indagavano sul corvo, aveva detto alla stampa che la regia ispiratrice di quell’attentato era la mafia, che intendeva bloccare le nuove indagini avvite su impulso di Falcone. Parisi aveva accennato ad un tentativo di fermarle, di incepparle “contro i boss, contro i responsabili delle grandi operazioni di riciclaggio di denaro sporco, contro i legami tra la mafia e l’eversione”.
Parisi aveva proseguito affermando che non esisteva alcun caso “Contorno”, ma che si era trattato di un’operazione di polizia condotta nella legalità.
Riguardo al corvo Parisi consigliava di mantenere una certa cautela, posto che il supposto denigratore poteva essere stato vittima inconsapevole dell’intossicazione dell’informazione, nel tentativo di svolgere un servizio in favore della giustizia.
Coloro i quali avevano operato attraverso insinuazioni e discredito nei confronti del magistrato palermitano erano dunque gli stessi che, secondo l’allora capo della polizia, avevano ucciso il Presidente della Regione Sicilia, assieme al segretario regionale del PCI Pio La Torre e al prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Anche De Gennaro, interrogato dai magistrati, aveva riferito alla stampa che il caso Contorno “non esiste”, “è un invenzione”.
Sollecitato dai giornalisti su un eventuale tentativo di bloccare le indagini sul riciclaggio e sul delitto Mattarella, De Gennaro aveva risposto che “sono entrambe buoni motivi”.
Il procuratore capo di Caltanissetta Salvatore Celesti aveva quindi inviato una comunicazione di garanzia al sostituto procuratore a Palermo Alberto Di Pisa, il sospetto corvo, per calunnia aggravata.
In quel periodo l’agenzia Ansa rivelo’ che in occasione di una visita al carcere di Vasto, avvenuta la settimana che precedette l’attentato all’Addaura, la Guardia di Finanza aveva scoperto all’interno di un casolare abbandonato poco distante dall’istituto penitenziario abbruzzese alcune cartucce da lupara, assieme a proiettili corazzati, razzi segnalatori, oltre ad un certo quantitativo di esplosivo.
Falcone si era recato a Vasto per incontrare il cugino di Contorno, Gaetano Grado, appartenente anche lui ad una delle famiglie perdenti nella guerra di mafia.
Il viaggio del magistrato era stato tenuto segreto fino all’ultimo, anche se la scorta imponente oltre alla presenza di un elicottero avevano fatto ipotizzare una visita importante. I baschi verdi ritennero plausibile l’ipotesi di un progetto di attentato non andato poi in porto ai danni di Falcone.
CM

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