Big pharma: l’esercizio del potere di un’industria


top 10 industrei farmaceutiche

L’industria farmaceutica, termine nel quale vengono ricomprese, oltre alle aziende produttrici di farmaci, anche le associazioni di categoria e le prime dieci lobby che queste ultime impiegano per condizionare gli organismi della comunità europea, dispone di un enorme potere economico, attraverso il quale è in grado di influenzare i processi decisionali che avvengono negli organi comunitari deputati. Come mostra il rapporto redatto nel 2015 da Corporate Europe Observatory (CEO) http://corporateeurope.org/sites/default/files/20150904_bigpharma_web.pdf, un’associazione che svolge il monitoraggio a livello europeo delle lobbies industriali, in collaborazione con Health Action International (HAI), nell’aprile 2015 big pharma ha denunciato una spesa per attività di lobbying pari a 40 milioni di euro, 15 volte il livello di spesa delle organizzazioni della società civile che operano per tutelare i sistemi sanitari pubblici ed il libero accesso ai farmaci.

La cifra rappresenta un’enormità se rapportata a quanto lo stesso comparto industriale dichiarava di spendere nel 2012, 8,3 milioni di euro. Tre anni più tardi le prime dieci società farmaceutiche dichiaravano di spendere 15 milioni, oltre 6.6 milioni in più. Le stesse società potevano inoltre contare, complessivamente, su 49 lobbisti a tempo pieno, 30 dei quali avevano pieno accesso al Parlamento europeo.

Dal novembre 2014, la nuova Commissione europea presieduta da Jean-Claud Juncker ha preteso  la registrazione nel Registro per la Trasparenza da tutte le lobbies che avessero intenzione di incontrare gli organi dell’Unione Europea, a partire dalla stessa Commissione. Non si tratta di un obbligo e dunque non è prevista alcuna sanzione nel caso di una sua violazione.

Questo fatto ha permesso di valutare il numero di incontri avuti dalle principali lobbies farmaceutiche con i Commissari. Secondo il rapporto realizzato da CEO, le prime tre principali industrie farmaceutiche, Bayer AG, Glaxo Smith Kline e Novartis International AG, hanno speso nel 2014 per attività lobbistiche, rispettivamente 2,5 milioni la Bayer, e 2 milioni ciascuna Glaxo e Novartis.  Dal novembre 2014 al marzo 2015 Glaxo ha incontrato ben 15 volte il Direttorato Generale per la sicurezza della salute e del cibo, mentre nello stesso periodò Novartis lo ha incontrato 8 volte.

Si tratta dell’organo responsabile per l’Unione dell’implementazione della normativa europea in tema di protezione della salute dei cittadini. I dati relativi a Bayer non sono stati forniti, tuttavia l’industria è membro dell’influente gruppo lobbistico European Roundtable of Industrialists (ERT), di UNIVC  la voce del Business in Europa, del Transatlantic Business Dialogue (TABD), di Europa BIO, l’associazione europea delle bioindustrie, nonché della Federazione Europea delle Associazioni e delle Industrie Farmaceutiche (EFPIA).

Fuori dai riflettori big pharma influenza le scelte degli organi decisionali comunitari attraverso il finanziamento di determinate organizzazioni di pazienti, quali La European Kidney Helth Alliance, l’organizzazione dei malati di fegato, che dal gennaio al novembre 2014 ha ricevuto da big pharma 35.000 euro per la sponsorizzazione di eventi. O come la European Respiratory Society, l’associazioni dei malati agli organi del sistema respiratorio, che dal marzo 2013 al febbraio 2014 ha ricevuto dalle industrie farmaceutiche 40-50.000 euro. O la European Union Geriatric Medicine Society, di cui fanno parte Pfizer, Astra Zeneca, Eli-Lilly e Bayer, e che dichiara in media, ogni anno, una spesa per attività di lobbying in ambito europeo da 25 ai 50.000 euro. O come la European Academy of Allergy and Clinical Immunology, che vanta la Novartis tra i suoi sponsor, e che nel 2013 ha dichiarato una spesa per attività di lobbying compresa tra i 100.000 e i 200.000 euro.

Infine vanno citate le Pharmaceutical Industry Trade Association, organizzazioni che che riuniscono grandi industrie farmaceutiche, e che hanno recentemente aumentato la cifra spesa in attività lobbistica, passando dai 5.4 milioni di tre anni fa, ai 7.7 milioni del 2015. Si tratta, complessivamente, di 18 associazioni di imprese che hanno dichiarato di impiegare a Bruxelles 68 lobbisti a tempo pieno, di cui 24 con libero accesso al Parlamento Europeo.

Dai documenti che Corporate Europe Observatory ha potuto visionare, tra tutte le associazioni di industrie farmaceutiche, la Federazione Europea delle Associazioni di Industrie Farmaceutiche (EFPIA) è quella che ha avuto il maggior numero di incontri con importanti dipartimenti della Commissione Juncker; infatti, dal novembre 2014 al marzo 2015, EFPIA ha avuto ben 50 meetings con membri della commissione e del Parlamento europeo.

Big pharma esercita un ulteriore ruolo di pressione sui  poteri decisionali dell’unione, attraverso suoi rappresentanti all’interno dei gruppi di esperti, siano essi membri che sostengono apertamente i suoi interessi, che soggetti che lo fanno in maniera coperta.

Nel registro pubblico dei gruppi di esperti della Commissione europea, EFPIA fa parte di diversi di questi, tra cui la European Alchool and Health Forum, il Technical Expert Group per l’implementazione della direttiva per la protezione degli animali utilizzati per gli esperimenti scientifici (for the Implementation of te directive on protection of animals used for scientific purpose), e l’expert Group sulla Corporate Responsibility in campo farmaceutico. EFPIA fa anche parte dell’Expert Group sullo sviluppo e le implicazioni della legge sui brevetti nel campo della biotecnologia.

In ultimo big pharma utilizza anche società di consulenza nel campo dell’attività di lobbying, attività molto fiorente a Bruxelles. Si tratta spesso di imprese create da ex funzionari o da ex eletti all’interno delle stesse istituzioni europee, i quali , attraverso lo schema delle porte girevoli, sono passati dall’altra parte della scrivania. Secondo il Registro di Trasparenza predisposto dalla Commissione, vi sono a Bruxelles  25 società di consulenza che hanno come cliente almeno una società farmaceutica.

In termini di fatturato le prime otto società di consulenza che vantano tra i lori clienti aziende farmaceutiche hanno dichiarato, complessivamente peri il 2014, un fatturato pari a 8.1 milioni.

Se da una parte la Commissione Juncker ha preteso da tutti i suoi Commissari, dai membri delle loro segreterie,  dai Direttori Generali e da tutti i vari Dipertimenti della Commissione, di indicare sul sito della Commissione tutti i meeting avuti con i lobbisiti, attraverso le società di consulenza nell’attività di lobbying, questo impegno verso la trasparenza viene in parte aggirato, in quanto dall’attività di lobbyind delle società di consuleza è possibile sapere solo quali società hanno tra i loro clienti società farmaceutiche.  Ma nelle varie riunioni e meeting che si tengono negli uffici della Commissione non sarà mai possibile sapere chi sta svolgendo lobbying su chi, per conto di chi, per quale compenso e su quali argomenti.

Ad esempio la Commissaria Elzbieta Bienkowska, nel gennaio 2015, ha dichiarato di avere un meeting con la società di consulenza di lobbying FIPRA International Limited, incontro avente come oggetto la vita nel settore delle scienze, che include, in maniera implicita ma non dichiarata, anche i farmaci e le questioni legate all’attività medica.

E soprattutto questa modalità di lobbying non consente di sapere per conto di chi la FIPRA stava svolgendo la sua attività, posto che buona parte del suo fatturato proviene dalle imprese farmaceutiche sue clienti (284.997.000 euro nel 2014).


L’Agenzia Europea del Farmaco e i test clinici.

La principale questione da cui vengono mosse le critiche all’attuale modello di controllo e regolamentazione dei nuovi medicinali in ambito europeo, è che l’Agenzia Europea del Farmaco, l’organismo deputato a livello europeo, e quindi vincolante anche per gli altri stati membri, a valutare scientificamente e ad  autorizzare la commercializzazione all’interno dell’Unione di nuovi farmaci, è quella dei test clinici.

In base all’attuale normativa i test clinici, ovvero gli studi realizzati per scoprire o verificare gli effetti di un medicinale che un’impresa farmaceutica intende introdurre sul mercato, vengono svolti dai laboratori delle stesse imprese farmaceutiche. E dunque l’Agenzia Europea del Farmaco valuta i nuovi medicinali esclusivamente sui dati che le vengono forniti dalle società farmaceutiche.

La rilevanza dei test clinici è legata al fatto che l’accesso ad essi è essenziale ai fini della tutela della salute pubblica. Solamente diffondendo gli effetti reali dei medicinali, inclusi anche i loro livelli di rischio e l’efficacia positiva testata, i medici, in particolare quelli preposti alla prescrizione dei farmaci, ed i consumatori, saranno in grado di compiere scelte consapevoli riguardo alle cure che vengono loro prescritte. E’ inoltre necessario che, oltre ai test clinici, possano concorrere a informare gli esperti dell’Agenzia anche gli studi scientifici indipendenti.

La nuova normativa sui test clinici, approvata nel 2014 e che entrerà in vigore nel 2016, sebbene preveda la loro pubblicazione da parte delle società farmaceutiche, ha subito pesanti limitazioni, sia attraverso la direttiva approvata dalla Commissione, nel novembre 2013,  sulla tutela dei segreti nell’ambito dell’ attività commerciale, che attraverso l’attività di lobbying svolta da big pharma all’interno dei negoziati previsti per il TTIP.


Il ruolo di big pharma nei negoziati per il TTIP

La mancanza di trasparenza e l’elevato livello di segretezza che avvolge i negoziati in corso tra Stati Uniti ed Unione Europea in relazione al Trattato Transatlantico sulla Partnership nel Commercio e negli Investimenti porta i commentatori a poter solo immaginare il livello di pressione esercitato dalle varie lobbies industriali. Tra queste ultime, la più importante, dopo quella finanziaria, è proprio big pharma, che dispone, come visto, di un notevole potere economico. In negoziati in corso dovrebbero introdurre misure di regolamentazione non tariffarie, quali gli schemI prestabiliti sugli Intellectual Property Rights, IPR, e le procedure legali in merito alle regolamentazioni tecniche, sui diritti della proprietà intellettuale (IPR) oltre a misure per la protezione degli investimenti.

L’opinione pubblica è giustamente allarmata sulle conseguenze negative legate alla conclusione di tali negoziati, nei termini di un abbassamento degli standards dei livelli attuali di sanità pubblica, e più in generale, di una riduzione della possibilità di accesso ai farmaci fondamentali. I desiderata manifestati da questo multimiliardario settore industriale sono ben noti: vanno dall’estensione del periodo di copertura dei brevetti, alla riduzione della trasparenza imposta ai test clinici dei nuovi farmaci.

Big pharma continua a sostenere come una maggiore protezione dei diritti della proprietà intellettuale (IPR) sia essenziale ai fini della tutela dell’innovazione, e dunque è facile immaginare come il TTIP possa essere un’ottima opportunità in tal senso. Del resto, la previsione di uno strumento legale quale la possibilità per le imprese di fare causa agli stati, nel caso in cui questi limitino le loro opportunità di fare profitto (la investor-state dispute settlement ISDS), rappresenta un ottimo argomento a favore dell’industria farmaceutica.

Nell’ambito della trasparenza sui test clinici, big pharma intende allineare, attraverso il TTIP, l’approccio adottato in Europa con quello in vigore già da tempo negli Stati Uniti, vale a dire l’esigenza di tutelare la riservatezza dei test clinici nei confronti dei pazienti, in quanto ritenute informazioni commerciali e in quanto tali confidenziali. L’industria farmaceutica sta inoltre tentando di armonizzare il trattamento dei test clinici con quello delle informazioni commerciali riservate: l’obiettivo è quello di poter stabilire liberamente quale parte dei test clinici possa essere rivelata e quale no. Anche qui il rischio è che la clausula ISDS possa influenzare i governi, nel caso in cui questi avessero deciso di rendere i test clinici completamente accessibili al pubblico.

Altro desiderata di big pharma è quello di colpire il potere degli stati membri dell’UE di assumere decisioni in merito alla determinazione del prezzo e del rimborso (P&R) di un farmaco, elemento essenziale in relazione al suo livello di accessibilità . I tentativi esperiti da big pharma in proposito mirerebbero ad assicurare alle case farmaceutiche la concreta possibilità di influire nella determinazione del prezzo . Altre possibilità si baserebbero su strumenti legali come la clausola ISDS o la determinazione del P&R.   

La rilevanza dei negoziati  TTIP è legata al fatto che attraverso essi verrà determinato uno standard comune che influenzerà inevitabilmente anche il diritto di accesso ai farmaci nel terzo mondo. I paesi più poveri con istituzioni più deboli, avrebbero seri problemi ad affrontare le politiche seguite dalle imprese farmaceutiche, basate sulla tutela dei brevetti e sugli elevati prezzi dei farmaci. L’esperienza passata degli effetti dei trattai commerciali sulla commercializzazione di farmaci essenziali è stata profondamente istruttiva, basti pensare ai prezzi praticati per i farmaci retrovirali usati per il trattamento dell’HIV/AIDS nei paesi  africani.


L’incredibile aumento di prezzo del Daraprim

Negli Stati Uniti il potere di lobbying esercitato da big pharma è ancora più evidente, attraverso l’elevato prezzo di alcuni farmaci rispetto al loro prezzo di vendita in altri paesi.

Molto istruttivo è il recente caso del manager di un hedge found e fondatore (2011) nonché ex azionista (10%) dell’azienda farmaceutica Retrophine, Martin Shkreli. La Retrophine possiede i brevetti e commercializza i trattamenti farmacologici per la cura di alcune malattie gravi e molto rare.

Tra queste anche il Daraprim, un medicinale che da 62 anni viene utilizzato per curare la malaria e la toxoplasmosi, una malattia a carattere virale che colpisce i bambini o le persone dotate di un sistema immunitario molto debole, come i pazienti affetti da tumore o da infezioni gravi quali il virus dell’HIV.

Ad agosto la società farmaceutica Turing Pharmaceutical, la nuova società di Shkreil, ha acquistato il brevetto del Daraprim, e poco tempo dopo il prezzo di vendita del farmaco è salito da13.50 dollari a 750 dollari la pillola, per poi scendere di nuovo a causa delle enormi proteste sollevate. http://www.nytimes.com/2015/09/21/business/a-huge-overnight-increase-in-a-drugs-price-raises-protests.html  Il Daraprim è stato inserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) nella lista dei farmaci ritenuti “essenziali”, vale a dire l’elenco dei medicinali ritenuti fondamentali per un sistema sanitario di base.


L’esempio concreto: il Sovaldi

Recentemente l’impresa farmaceutica statunitense Pharmasset ha sviluppato la cura per l’epatite C, una forma di epatite fino a poco tempo fa incurabile, con probabilità di salvezza molto ridotte, a meno  di un  trapianto di fegato. Il costo di un trattamento completo è stato, fino a poco tempo fa, pari a 36.000 euro (in Italia costa 37 mila euro).

Nel 2012 il brevetto del Sovaldi, il nome del medicinale in grado id curare l’epatite C, è stato acquistato dall’impresa farmaceutica Gilead, per 11 milioni di dollari. A seguito della vendita, il prezzo del trattamento completo è più che raddoppiato, salendo a 84.000 dollari, pari a mille dollari la pillola.

Due membri del Senato degli Stati Uniti, Ron Wyden e Chuck Grassley hanno scritto una lettera alla Gilead, chiedendole di spiegare per quale ragione il costo di una singola pillola di Sovaldi sia salito a 1.000 dollari, rispetto al precedente prezzo praticato da Pharmasset, e rispetto anche a quello praticato in altri paesi. I due senatori hanno presentato una serie di documenti forniti dall’organo di controllo della Borsa, la Securities and Exchange Commission (SEC),  in cui viene spiegata la ragione di quest’incredibile aumento di prezzo. Quest’anno le vendite del medicinale Sovaldi hanno raggiunto un fatturato di 8 milioni dollari, facendolo balzare ai primi dieci posti nella top ten dei medicinali più redditizi al mondo. http://www.latimes.com/business/la-fi-senators-gilead-sciences-20140711-story.html


Il cambio di strategia distributiva della Genetech

Come scrive il Time (http://time.com/3541484/cancer-drug-price-hikes/) i casi dell’incredibile aumento di prezzo del Daraprim e del Sovaldi non sono isolati.

Altri farmaci importanti come i tre essenziali per la cura del cancro, hanno recentemente fatto registrare incredibili ed ingiustificati aumenti, vale a dire l’Avastin, l’Herceptin e il Rituxan.

Al partire dal primo di ottobre gli ospedali statunitensi, infatti, non potranno più godere degli sconti che avevano in precedenza dalle aziende farmaceutiche che li producono, e saranno quindi costretti a pagarli a prezzo pieno. In una sola notte la spesa sostenuta dal sistema sanitario statunitense salirà di 300 milioni di dollari per via di questi aumenti, soldi che finiranno in tasca alla Genetech, la farmaceutica che ne detiene i brevetti, o ai suoi distributori.

La spesa sostenuta l’anno scorso per l’Avastin, impiegato principalmente nella cura del tumore al colon e al retto ed anche in quello delle ovaie, è stata di 6,6 miliardi, mentre quella per l’Herceptin, il Perjeta ed il Kadcyla, impiegati in maniera complementare nella cura del tumore al seno, è stata di circa 7 miliardi di dollari, con un aumento rispetto al 2013 pari al 14%. Già l’anno scorso l’aumento di prezzo di questi farmaci era stato dell’8%.

Il fatturato delle Genetech, di proprietà della Roche, è stato l’anno scorso pari a 50 miliardi di dollari.

Secondo i portavoce di Genetech, l’aumento dei prezzi sarebbe causato da un cambiamento nel sistema di distribuzione dei farmaci, resosi necessario ai fini del mantenimento di elevati standard di efficienza e sicurezza, che si sono tradotti in una riduzione dei centri di distribuzione dagli attuali 80 a 5. E’ inutile dire che tale aumento ricadrà completamente sulle spalle dei pazienti. (cm)

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