La strategia della tensione: la P2, il golpe Borghese e l’Italicus

Italicus 2

Il ruolo di Licio Gelli e della P2 nell’ambito della cd “Strategia della tensione” si evince da una serie di sentenze giudiziarie, a prescindere dalle condanne e di converso dalle assoluzioni alle quali queste hanno condotto. Ci si riferisce, in primo luogo, alla sentenza relativa al golpe Borghese (dal nome del militare che ne avrebbe assunto la guida, Junio Valerio principe Borghese) che, malgrado la vulgata tendesse a farlo apparire come un goffo tentativo compiuto da un gruppo di vegliardi, in realtà vedeva la complicità della massoneria, in particolare della loggia segreta P2. Ad essa erano infatti iscritti diversi alti gradi militari coinvolti nel golpe, nonche’ dei Servizi (Sid), con Vito Miceli e Gian Adelio Maletti titolari di tessara della loggia coperta Propaganda 2, e dello stesso Licio Gelli, Gran Maestro e responsabile della loggia. E’ stato inoltre provato il coinvolgimento della rete Gladio e dei vertici della mafia siciliana, la cd cupola, con i vari Gatano Badalamenti, Stefano Bontate e Luciano Liggio.

Come è noto lo scopo del golpe era quello di occupare il ministero degli Interni e rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (se ne sarebbe dovuto occupare Licio Gelli in persona).

L’esito dell’operazione fu disastroso, con i membri operativi del gruppo costretti ad abbandonare l’impresa a seguito di una chiamata da parte dei vertici dell’organizzazione, si dice dello stesso Gelli. Secondo le risultanze processuali alla base del fallimento vi era una diversità di vedute tra chi preferiva tentare una mediazione attraverso la politica, e chi invece premeva per un regime militare tout court, stile colonnelli greci.

Come appare evidente tutta l’organizzazione della vicenda vede in prima fila la massoneria, ed in particolare Gelli e la P2, alla quale sono legati numerosi gruppi eversivi di destra, più o meno collegati a livello internazionale con gruppi di finanziatori, con il consenso implicito di Nixon.

Malgrado il fallimento del golpe, alcune forze appartenenti alla destra extraparlamentare misero in atto un’escalation di attentati dinamitardi a Roma, in Toscana e in Lombardia, escalation che avrebbe dovuto, secondo la loro visione, creare nel Paese una situazione di insicurezza e di ingovernabilità tale da rendere necessaria la presa del potere da parte dei militari.

Molto significative appaiono in merito le dichiarazioni, ritenute attendibili, rese dall’ex terrorista nero Sergio Calore, che dopo la decisione di collaborare con i magistrati accuso’ Franco Freda di essere il mandante della strage di Piazza Fontana:

Era prevista per il dicembre 1969 l’ attuazione di un golpe cui dovevano partecipare le stesse forze che l’anno seguente, nella notte fra l’8 e il 9 dicembre 1970, tentarono di mettere in atto quello che è noto come golpe Borghese. Quando, nel dicembre 1969, si stabilì che il golpe non ci doveva essere, alcuni giovani estremisti, più o meno collegati ai gruppi giovanili del Fronte Nazionale, decisero di forzare la situazione attuando gli attentati del 12 dicembre 1969, al fine di provocare l’intervento stabilizzatore delle Forze armate.”

 

L’attentato al treno Italicus

Uno degli attentati che rientravano in questa escalation di violenza fu quello al treno Italicus, il treno espresso 1486 partito da Roma e diretto a Monaco di Baviera, che la notte tra il 3 ed il 4 agosto del 1974 esplose uccidendo 12 persone e ferendone altre 48. Nonostante le accuse mosse da Aurelio Fianchini e da Felice D’Alessandro, secondo i quali in base alle rivelazioni del loro compagno di cella Luciano Franci l’attentato al treno fu opera del Fronte Nazionale Rivoluzionario, con Mario Tuti che fornì l’esplosivo, Malentacchi Piero che piazzò l’ordigno sul treno nella stazione di Santa Maria Novella, e il Franci, che lavorava nell’ufficio postale della suddetta stazione, che fece da palo, l’esito processuale della vicenda fu tutt’altro che positivo. L’ordigno era stato preparato dal Malentacchi, il quale aveva acquisito una specifica competenza in proposito durante il servizio militare; ma la cassazione (Corrado Carnevale) annullò le condanne e fece ripetere il processo di appello, e nel nuovo appello tutti gli imputati vennero assolti.

Sebbene l’esito del processo abbia lasciato la strage senza autori e mandanti, nella sua relazione conclusiva la Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2, presieduta da Tina Anselmi, ebbe modo di scrivere in merito: Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell’analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell’Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale”.

 

La strategia della tensione e il ruolo della P2

Dunque lo scopo della P2 era quello di sfruttare il malcontento generale che imperava negli anni compresi nell’intervallo 1974 – 1980, a causa della crisi economica e dell’inadeguatezza politica, infiltrando le organizzazioni eversive di destra non tanto per conseguire le loro stesse finalità, quanto per creare attraverso azioni violente uno stato di ingovernabilità per gestire il quale si sarebbe proposta, come unica soluzione possibile, l’intervento di un governo di salute pubblica gestito possibilmente da militari. In proposito la Commissione Anselmi, nella sua relazione conclusiva, scrive:  Il periodo che corre tra il 1970 e il 1974 registra la proliferazione di movimenti extraparlamentari, la nascita di sempre nuove organiz­zazioni eversive paramilitari o terroristiche, la moltiplicazione di gravi delitti politici — secondo forme affatto nuove per il Paese — la rin­novata virulenza della malavita comune e delle sue organizzazioni criminali. Sono questi gli avvenimenti che formano il quadro entro cui si sviluppa quella che venne definita la « strategia della tensione », favorita dalla crisi economica e dalla crescente instabilità del qua­dro politico. Quegli anni, oltre ad essere caratterizzati, come abbiamo già visto, dall’intensa opera di politicizzazione della loggia svolta da Licio Gelli, si contraddistinguono anche per i collegamenti che ci è consentito di identificare tra Licio Gelli, la Loggia P2, suoi qua­lificati esponenti ed il complesso mondo dell’eversione nera.

Dal materiale in possesso della Commissione si trae infatti la ragionata convinzione, condivisa peraltro da organi giudiziari, che la Loggia P2 attraverso il suo capo o suoi esponenti (le cui ini­ziative non possono considerarsi sempre soltanto a titolo personale) si collega più volte con gruppi ed organizzazioni eversive, incitan­doli e favorendoli nei loro propositi criminosi con una azione che mirava ad inserirsi in quelle aree, secondo un disegno politico pro­prio, da non identificare con le finalità, più o meno esplicite, che quelle forze e quei gruppi ponevano al loro operato”.

In merito al ruolo specifico avuto dalla massoneria e dalla Loggia P2 in particolare nel quadro della realizzazione della cd “strategia della tensione”, importanti conferme sono arrivate dall’inchiesta parlamentare sulla Loggia stessa. A questo riguardo, nella relazione conclusiva si legge :

a) come la Loggia P2, e per essa il suo capo Gelli Licio (dap­prima ” delegato ’’ dal Gran Maestro della famiglia massonica di Palazzo Giustiniani, poi — dal dicembre 1971 — segretario organizza­tivo della Loggia, quindi — dal maggio 1975 — Maestro Venerabile della stessa), nutrissero evidenti propensioni al golpismo;

b) come tale formazione aiutasse e finanziasse non solo espo­nenti della destra parlamentare (all’udienza in data 27. 10. 1982 il generale Rosseti Siro, già tesoriere della Loggia, ha ricordato come quest’ultima avesse, tra l ’altro, sovvenzionato la campagna elettorale del ” fratello ” ammiraglio Gino Birindelli), ma anche giovani della destra extraparlamentare, quanto meno di Arezzo (ove risiedeva appunto il Gelli) ;

c) come esponenti non identificati della massoneria avessero offerto alla dirigenza di Ordine Nuovo la cospicua cifra di L. 50 milioni al dichiarato scopo di finanziare il giornale del movimento (vedansi sul punto le deposizioni di Marco Affatigato, il quale ha specificato essere stata tale offerta declinata da Clemente Graziani);

d) come nel periodo ottobre-novembre 1972 un sedicente mas­sone della ” Loggia del Gesù ” (si ricordi che a Roma, in Piazza del Gesù, aveva sede un’importante ” famiglia massonica ” poi fusasi con quella di Palazzo Giustiniani), alla guida di un’auto azzurra targata Arezzo, avesse cercato di spingere gli ordinovisti di Lucca a compiere atti di terrorismo, promettendo a Tornei e ad Affatigato armi, esplo­sivi ed una sovvenzione di L. 500.000 ».

Intervista a Gian Adelio Maletti

Nell’agosto del 2000 il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo si reca in Sudafrica ad intervistare Gian Adelio Maletti, ex capo della divisione “D” (controspionaggio) del SID,  i Servizi segreti italiani, condannato a 31 anni di cui nove ancora da scontare, per depistaggio, avendo aiutato i neofascisti Guido Giannettini e Marco Pozzan, corresponsabili della strage di piazza Fontana, ed anche per avere depistato le indagini sulla bomba di Bertoli alla questura di Milano. Quando il giornalista chiede all’ex barba finta cosa gli può dire a proposito della strategia della tensione, questi gli risponde di avere letto la relazione di minoranza della Commissione stragi, laddove si dice che tale strategia rientrava in una più vasta strategia di tipo “atlantista” che coinvolgeva diversi paesi mediterranei, e prosegue: “Era una necessità della NATO raccogliere notizie ed elaborarne il più possibile. Ma chi  le usava e le manipolava era il Servizio americano della CIA“. Il giornalista domanda a Maletti se avesse mai avuto una prova diretta di ciò, e Maletti risponde: “Avevo personalmente rapporti con la CIA. Con Howard Stone, detto Rocky, capo della stazione di Roma e Mike Sedinuoui, un agente di origini algerine. Eravamo in contatto per motivi di controspionaggio”. Più nello specifico sulla strategia della tensione, Maletti risponde: ” Sospettavo, senza precisi riscontri”. E ancora: “Noi, come Sid, non erravamo in condizioni di fare nulla. Almeno nei confronti degli americani. Poi il tempo ci portò le prime conferme. La CIA, in Italia, aveva la più importante sezione sulla sicurezza  di tutta l’Europa occidentale. Le informazioni venivano poi confrontate con l’altra potentissima centrale in Germania”.

“Si, la Germania – prosegue Maletti – era stato un paese di reclutamento sin dalla fine della seconda guerra mondiale. La CIA voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della “strategia della tensione”.

E in che modo, chiede il giornalista? “Lasciando fare”. E i nostri servizi ne erano consapevoli o complici? “Non c’era piena consapevolezza. Ma esisteva un orientamento nei Servizi favorevole a questo progetto”.

Il giornalista domanda: in che modo la CIA utilizzò Ordine Nuovo? “Con i suoi infiltrati e con i suoi collaboratori. In varie città italiane e in alcune basi della NATO: Aviano, Napoli..La CIA aveva funzioni di collegamento tra diversi gruppi di estrema destra italiani e tedeschi e dettava le regole ed i comportamenti. Fornendo anche il materiale”. Esplosivi e armi? “Numerosi carichi di esplosivo arrivavano dalla Germania, via Gottardo, direttamente in Friuli e in Veneto“.

E ancora, più avanti nell’intervista, Maletti racconta di come il primo tentativo di golpe in Italia guidato dalla CIA fu il golpe Borghese. Nel rapporto sul golpe in questione, redatto dal Sid per informare il governo, c’erano le prove del coinvolgimento diretto degli USA, oltre alle prove del coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze Armate”. Anche nella strage di piazza Fontana c’era il coinvolgimento della CIA: infatti l’esplosivo usato faceva parte di uno dei carichi provenienti dalla Germania e giunti in Veneto attraverso il Gottardo. Sul peso delle responsabilità Maletti risponde: ” Io sento un peso fortissimo, come italiano, di quello che è successo. Mi sento quasi umiliato di ciò che non abbiamo fatto per impedire tanti morti. Chi ha portato avanti questo progetto, che ha ucciso tanti italiani, è italiano. E lo ha fatto aderendo ad un progetto portato avanti da un servizio straniero, per ottenere un proprio vantaggio. Di potere”. E sulla strategia della tensione, le responsabilità politiche e la convenienza del silenzio,, Maletti afferma: “Da parte dei politici? No, sarebbe criminale. La vera responsabilità politica nella strategia della tensione è che nessuno ha mai preso delle decisioni, mai nessun uomo politico ha parlato e agito in termini politici”. La CIA, secondo Maletti, ha cercato di ripetere in Italia il golpe realizzato nel 1967 in Grecia, quando venne deposto Papandreu. Per Maletti la situazione italiana sarebbe sfuggita di mano, ed alcuni attentati hanno prodotto ben oltre gli obiettivi in origine prefissati: “i gruppi di estrema destra si erano sganciati. Ormai c’era solo terrore“.

Il ruolo del Sid nella strategia della tensione secondo Aldo Moro

Un importante contributo alla comprensione del fenomeno delle strategia della tensione, e del ruolo svolto a tal proposito dal Sid, viene offerto dal memoriale scritto da Aldo Moro durante i 55 giorni della sua prigionia. Il memoriale contiene in parte le risposte fornite da Moro durante l’interrogatorio svolto dalle BR, ed in parte affronta, in maniera autonoma, argomenti specifici e ritenuti di estrema rilevanza dallo statista democristiano. La ricostruzione che è stata fatta delle domande, data la distruzione sia dei nastri dell’interrogatorio che della loro sbobinatura, ha permesso di arrivare in maniera quasi fedele alle sedici domande che hanno costituito gli argomenti richiesti all’ex presidente della DC. Le sedici domande attorno alle quali si è articolato l’interrogatorio sono dunque le seguenti: la nascita del centro sinistra e il tentativo golpista del generale De Lorenzo; la strage di piazza Fontana e il ruolo delle Dc nella strategia della tensione; la riforma dei Servizi segreti; i contributi economici della DC; la negoziazione del prestito del Fondo Monetario Internazionale; l’affare Lockheed; il governo Andreotti della non sfiducia; il ruolo degli ambasciatori USA in Italia; la DC come centro di un sistema di potere e il ruolo delle cariche istituzionali; la ristrutturazione della DC e il ruolo dei nuovi tecnocrati; i rapporti della DC con gli Agnelli; La funzione del DC Medici alla presidenza della Montedison; i rapporti tra DC e finanza pubblica; la strategia antiguerriglia della Nato (Gladio); i rapporti di Cossiga con carabinieri e polizia; i rapporti della DC con la stampa.

Nel capitolo relativo al giudizio sulla situazione politica attraversata dall’Italia vi è una parte che riguarda la strategia della tensione ed il ruolo avuto dai Servizi, in particolare il Sid, nella sua realizzazione concreta. Scrive a questo proposito Moro:

la strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia sui binari della “normalità”… si può presumere che paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati ad un certo indirizzo, vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro Servizi informazioni. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio, e lo stesso servizio italiano (Sid) per avvenimenti venuti poi largamente in luce e per altri precedenti (presenza accertata in casa Sid di molteplici deputati missini, inchiesta di Padova, persecuzione contro la consorte dell’ambasciatore Ducci, falsamente accusata di essere spia polacca) può esser considerato uno di quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del processo di Catanzaro. Fautori ne erano, in genere, coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè in ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di (chi) respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico”.

Per questo riguarda piazza Fontana, ovvero la strage che di fatto diede inizio alla strategia della tensione, Moro afferma: “Si può domandare se gli appoggi venivano solo da quella parte (Grecia e Spagna) o se altri Servizi segreti del mondo occidentale vi fossero comunque implicati. La tecnica di lavoro di queste centrali rende molto difficile, anche a chi fosse abbastanza addentro alle cose, di avere la prova di certe connivenze. Non si può ne affermare ne escludere. La presenza straniera a mio avviso c’era. Guardando ai risultati si può affermare, come effetto di queste azioni, la grave destabilizzazione del nostro paese, da me più volte rilevata anche in sede parlamentare”.

Tornando al tema specifico dei Servizi, Moro sottolinea come, all’epoca in cui era ministro degli Esteri, il Sid fosse particolarmente polarizzato a destra, la quale cosa “induceva a valorizzare alcune operazioni di controspionaggio che, per ragioni di politica internazionale, avrebbero potuto essere trattate con maggiore discrezione o almeno con più opportuna scelta dei tempi… C’era qualcuno che intendeva usare il Sid in senso politico ed in una certa direzione politica”. Sul tema della riforma dei Servizi e della lotta per il loro controllo, Moro afferma: “Mi pare che esca vincitore, avendo straordinaria abilità ad impadronirsi di tutte le leve, il presidente del Consiglio (Andreotti). Ed è giusto che le masse, i partiti, gli organi dello Stato siano bene attenti, senza diffidenza pregiudiziale, ma anche senza disattenzione, al personaggio che la legge ha voluto detentore di tutti i segreti di Stato, i più delicati salvo il controllo, da sperimentare, dell’apposita Commissione parlamentare. Questa persona detiene nelle sue mani un potere enorme, all’interno e all’estero, di fronte al quale i dossier dei quali si parlava ai tempi di Tambroni francamente impallidiscono. E soprattutto la situazione deve essere considerata avendo presente l’esperienza del passato, l’inquinamento del trentennio che appunto deprechiamo”. (cm)

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