La censura sul rapimento Moro e la strategia dei cambi di prigione

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In un documento proveniente dal Comando delle trasmissioni nucleo tecnico 3a sezione, dal titolo “Esito dell’ascolto sui programmi RAI-TV, datato 17-3-1978 (ore 12:50), il giorno successivo alla strage di via Fani, in una sintesi scritta a mano si legge: “Il dott. Pepe in comunicazione con il dott. Motta fornisce spiegazioni circa l’andata in onda sul Gazzettino di Roma del comunicato ANSA  111/1 delle ore 12:40. Dal colloquio – si legge ancora – si evince che, su indicazioni del Ministero dell’ Interno le radiazioni dei notiziari RAI devono astenersi dal mandare in onda alcuni tipi di notizie, quali ad esempio il Proclama delle BR Brigata Walter Alasia“.

In fondo al documento compare poi un Nota Bene che recita: “Ci sembra che il dott. Pepe fosse della RAI ed il dott. Motta è un funzionario del Viminale”.

Il proclama al quale si fa riferimento è il comunicato dettato all’agenzia ANSA di Torino in data 16.3.78, nel quale, in sostanza, un portavoce della colonna torinese delle BR “Walter Alasia” chiede il rilascio di alcuni detenuti. In particolare si fanno i nomi di Cinieri, Monaco, Vito, Messana, oltre a tutti i componenti dei due gruppi armati Azione Rivoluzionaria e Nuclei Armati Proletari. Il telefonista da un termine di 48 ore per la loro liberazione, minacciando altrimenti di “fare fuori” l’on. Aldo Moro. Il giorno successivo, il 17 marzo, lo stesso telefonista sconosciuto chiama nuovamente l’ ANSA di Torino, facendo notare che erano scadute 12 delle 48 ore fornite come ultimatum, e che se entro il giorno stesso non fosse stata data una risposta da parte del governo, sarebbe stato messo in atto quello che il giorno precedente era stato minacciato, ovvero di uccidere lo statista democristiano. L’urgenza di avere una risposta si può immaginare nella necessità di dovere programmare il rapimento ed in particolare le modalità della detenzione del presidente della DC.

Questi due eventi messi assieme denunciano quelle che erano le principali necessità delle autorità che allora indagavano sul sequestro: mantenere l’assoluta segretezza sulle richieste avanzate dai rapitori, cosa che accadeva in genere in tutti i sequestri, e di avere il silenzio stampa da parte di tutti gli organi di informazione.

Passando al tema della strategia di detenzione dell’ostaggio, a fronte del racconto contenuto nel memoriale di Valerio Morucci, da più parti contestato circa la sua attendibilità, ed in modo particolare per quanto riguarda le prigioni in cui venne custodito Moro, ci sembra di poter dire, anche alla luce di molte delle ricostruzioni fatte ex post, come l’esigenza a cui fa riferimento il comunicato possa essere quella di studiare una strategia di detenzione che utilizzasse molte prigioni, al fine di ridurre il rischio di  individuazione. L’analisi autoptica del cadavere di Moro ha permesso di potere escludere con esattezza che la detenzione dello statista possa essersi svolta, per tutti i 55 giorni, nella stanzino ricavato in via Montalcini, e questo per via di una serie di elementi che vanno dall’abbronzatura al tono della muscolatura, e più in generale alle buone condizioni complessive della sua struttura fisica.

Anche l’analisi dei reperti individuati sia all’interno che all’esterno della Renault 4 rossa nel quale venne rinvenuto il corpo dell’ex presidente della DC, hanno portato a ritenere come il luogo dal quale venne prelevato Aldo Moro prima di essere ucciso, e molto probabilmente anche l’ultima delle sue prigioni, fosse in prossimità del mare: la sabbia rinvenuta sui tappetini, quella nei risvolti dei pantaloni, la vegetazione rimasta incastrata in uno degli sportelli posteriori, il catrame rinvenuto sia all’esterno della vettura che all’interno di essa.

A questo proposito appare sicuramente degno di interesse un documento trasmesso dal Comando Generale dell’Arma dei carabinieri al Reparto “D” del SISMI di Forte Braschi.

Nel documento in questione si legge come l’Ambasciata italiana a Londra, avesse ricevuto la notizia da una fonte confidenziale, notizia prontamente comunicata al Ministero degli Interni, di come a 15 miglia a sud di Roma, all’interno di un casolare, si travassero l’on. Moro custodito da sei uomini, “disposti a farlo fuori”.

Successivamente, in un fonogramma classificato come RISERVATO, inviato dal SISMI al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri di Roma (Ufficio Operazioni) e per conoscenza al SISDE (sede centrale di Roma), si legge  come “Durante il sequestro Moro furono notati traffici sospetti in v.Castel S.Angelo n.1284, località Tragliato (Palidoro). Nel luogo in questione, situato sulla strada per Bracciano, viene indicato il casale di proprietà della società AGROL, intestata a tale Giuseppe Proietti, quale possibile prigione dello statista democristiano.

Ora, data l’ intensa attività di depistaggio condotta da organi istituzionali durante tutti i 55 giorni del sequestro Moro, è possibile affermare come questa informazione, se fosse stata incrociata in maniera più attenta con l’analisi della Renault 4 e del cadavere di Moro, avrebbe sicuramente portato a richiedere un ulteriore approfondimento, come ad esempio una verifica in loco, cosa che purtroppo non è mai avvenuta.

E’ pur vero che l’enorme quantità di segnalazioni che arrivarono agli inquirenti da quasi ogni parte d’Italia possa aver fatto pensare come l’operazione depistaggio fosse partita il giorno stesso del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta.

A questo proposito appare degno di interesse un documento redatto dal Servizio Informazioni della Difesa il giorno 16 marzo 1978, avente ad oggetto “Rapimento del Presidente della Democrazia Cristiana On. Aldo Moro” , definito “urgentissimo”, e diretto alla Segreteria per una sua traduzione dall’italiano all’inglese. Tale documento era destinato ai Servizi segreti dei paesi alleati, ed in particolare a quelli della Germania Occidentale”in vista di un loro apporto positivo alle indagini.

Il documento, redatto per punti, indica al n.1 il suo intento: “Ringraziando per qualsiasi collaborazione  che il vostro Servizio potrà fornire in merito, vi comunichiamo i primi dati relativi all’episodio in oggetto” .

Dopo le prime righe in cui vengono descritti, in maniera succinta, gli accadimento avvenuti in via Fani, si rendono note le prime risultanze delle indagini: ” i terroristi avrebbero usato uniformi dell’aviazione civile per avvicinarsi alla scorta senza destar sospetto; fra le armi usate per la strage vi sarebbero due pistole mitragliatrici fabbricate nei paesi dell’Est europeo, una “Tula Tokarev TT” e una “Nagant”. Quest’ultima – si legge – è già stata usata dai terroristi rossi in altre occasioni; infine, altro elemento da verificare è che uno degli attentatori avrebbe pronunciato alcune parole in tedesco.

Questo elemento si ritrova anche in un successivo documento del SISMI, datato 6 maggio 1978, un appunto diramato da Forte Braschi e diretto al Raggruppamento dei centri CS di Roma ed a tutti i centri CS.

Nel documento in questione, oltre ad accennare al fatto che i membri delle BR privileggiassero spostamenti via treno, e oltre a divulgare l’informazione resa nota da fonti attendibili di una programmata incursione da parte di appartenenti alle BR a Montecitorio, travestiti da agenti di ps o da “valletti ” della Camera, si da come probabile l’ipotesi che all’attentato di via Fani abbiano partecipato, l’uso del condizionale è significativo, “elementi tedeschi”.

Di seguito, in considerazione dei legami intercorsi con altre organizzazioni terroristiche di altri paesi, ed in modo particolare con la RAF, vengono comunicati i nominativi dei brigatisti rossi che, sulla base delle prime indicazioni dei testimoni, la polizia italiana ricerca su tutto il territorio nazionale, alcuni dei quali già colpiti da ordine di cattura. Tra questi compaiono i nomi di alcuni dei dodici componenti del commando che agì in via Fani, ed in particolare: Prospero Gallinari, già colpito da ordine di cattura, Mario Moretti, Franco Bonisoli e Lauro Azzolini.

In un rapporto informativo del SISMI, datato 19 aprile 1978, vengono riportate le reazioni della stampa estera ed i commenti dei vari governi in relazione al rapimento di Moro; tra questi, particolare interesse riveste il servizio televisivo sull’uccisione di Aldo Moro andato in onda sulla televisione pubblica austriaca. In esso viene affermato come si ritenga quasi certa la partecipazione al rapimento di terroristi tedeschi occidentali, tra cui due note ricercate sposate con italiani. A tal riguardo viene fatto il nome di Christian Klar. Sempre nella trasmissione austriaca, nel corso di un’ intervista al giudice Mario Sossi viene fatto notare come i sistemi di coercizione psicologica esercitati dalle BR sui detenuti siano stati definiti “sistemi sperimentati o adottati nei paesi dell’Est, in particolare nella ex Cecoslovacchia“. (cm)

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