Jeffrey Sterling

CIA-Leak-Sentencing

Tre anni e mezzo da scontare in una prigione federale. E’ così che si chiude la vicenda di Jeffrey Sterling. Un ex ufficiale sotto copertura della Central Intelligence Agency, la CIA, seduto in un’aula di giustizia federale, con i sui avvocati seduti accanto a lui, uno per lato, ad aspettare la sentenza di un giudice che ha stabilito che dovrà scontare i prossimi 42 mesi in prigione. Qualche metro più in la i suoi tre accusatori, anche loro in attesa della sentenza, forse speravano in una pena più pesante, dopo un’indagine durata più di dieci anni e condotta dall’FBI su di un uomo che ha commesso un “crimine ingiustificabile”, così lo ha definito al giudice uno dei tre. Dietro le spalle di Sterling, esattamente dietro la sua spalla sinistra, sua moglie, che cerca a stento di trattenere le lacrime, sperando che il giudice non riesca a sentirla.

Quando gli agenti dell’FBI l’hanno interrogata, le hanno chiesto che lavoro facesse e lei ha risposto che lavora nel sociale; la sua modesta casa è stata perquisita; è stata anche costretta a testimoniare di fronte ad un grand jury, ed alla fine ha perso anche quelle briciole di speranza di una vita normale, con un figlio o magari due, invece di quell’aborto spontaneo che è stata costretta a subire, un marito che potesse avere un lavoro normale, una vita che non fosse costantemente sotto sorveglianza, e degli amici che fossero liberi di ribellarsi alle pressanti e ripetute domande rivoltegli dagli agenti del governo, su di lei e su suo marito.

Uno degli avvocati di Sterling aveva presentato al giudice la domanda di clemenza. Sterling è una brava persona, ha detto uno dei suoi avvocati, non un traditore. E’ stato il primo nella sua famiglia a diplomarsi al college. Dopo avere lasciato la CIA ha lavorato come investigatore nel settore della sanità, dove ha vinto diversi premi per avere scoperto delle frodi del valore di diversi milioni di dollari. Sterling ama sua moglie. Non le avrebbe mai procurato un dispiacere così grande e non merita di essere rinchiuso in una cella fino a quando sarà vecchio, solamente per avere parlato con un reporter del New York Times a proposito di un programma classificato, che mirava a boicottare il programma di arricchimento dell’uranio del governo iraniano. Per favore, fate in modo che la sentenza sia umana, aveva chiesto uno dei suoi avvocati.

Quando è stato il suo turno a parlare, si è alzato e si è avvicinato al palco col microfono. I suoi avvocati lo hanno accompagnato, restando a circa un metro di distanza dietro di lui, come a sostenerlo nel caso in cui ne avesse avuto bisogno. Dall’alto dei suoi due metri, Sterling, parlava con la sua voce bassa, ringraziando la corte per aver condotto il processo, ed il giudice per aver accettato di rimandare la data dell’udienza, così da consentirgli di partecipare al funerale di uno dei suoi fratelli. Sterling non ha dichiarato, così come la giuria aveva chiesto, se si ritenesse colpevole o innocente del reato per il quale è stato processato – l’aver violato l’Espionage Act e le altre leggi sul divieto di rivelare informazioni coperte dal segreto di stato.

La battaglia di Sterling contro il governo degli Stati Uniti è cominciata una quindicina di anni fa, quando era ancora un agente della CIA. Dopo avere presentato agli uffici legali dell’agenzia governativa un reclamo formale per discriminazione razziale, è stato licenziato; e così ha deciso di citare in giudizio la CIA per discriminazione razziale e rappresaglia, e in un altra causa, per avergli impedito di pubblicare la sua autobiografia. Sterling ha anche deposto di fronte al Congresso degli Stati Uniti come persona informata dei fatti. In poco tempo ha perso tutti i suoi risparmi ed anche la casa, e si è trovato a vivere per strada, in giro per il paese, perso nella disperazione. Fino a quando non si è deciso a tornare nella sua città natale, vicino St. Louis, dove si è rifatto una vita, ha conosciuto sua moglie ed ha trovato un lavoro che gli ha consentito di rimettersi in piedi.

Ma la sua nuova vita è andata in frantumi quando, nel 2011, gli agenti dell’FBI sono entrati nel suo posto di lavoro, e lo hanno prelevato e ammanettato, portandolo via di fronte a tutti i suoi colleghi. Qualche giorno dopo il suo arresto, quando ancora era rinchiuso in carcere, gli veniva comunicato che aveva perso il posto perché non si era più fatto vedere in ufficio.

Il dramma si è concluso nell’ aula del tribunale di Alexandria, in Virginia, in un caldo pomeriggio di maggio, dopo che Sterling aveva concluso la sua breve dichiarazione di fronte al giudice ed alla corte.

La vicenda di Jeffrey Sterling ha attratto l’attenzione del pubblico, principalmente per due ragioni: perché rappresenta uno dei diversi informatori, insieme a Bradley (Chelsea) Manning ed Edward Snowden, nei cui confronti l’amministrazione Obama ha avuto un atteggiamento molto duro, e poi perché i pubblici ministeri hanno cercato di fare pressione sul reporter del New YorkTimes, James Risen, per farsi rivelare il nome della sua fonte, che il governo ha creduto fosse appunto Sterling.

Il caso, conosciuto come “Gli Stati Uniti d’America contro Jeffrey Alexander Sterling“, è stato trattato dai media principalmente come un caso di libertà giornalistica, con il reporter Risen trattato come un eroe. Solo che a rimanere invischiato tra le maglie della legge, a tutela del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, è stato solo lui, Jeffrey Sterling, afroamericano.

Durante gli ultimi anni di college, alla Scuola di legge di St.Louis, Sterling era preso dalla lettura di un giornale interno. Tra le pagine del giornale era attratto da una pubblicità che ritraeva un uomo, in piedi di fronte ad un bacino d’acqua, intento a scrutare l’orizzonte, come a trarre ispirazione da quello sguardo perso nel vuoto. “Guarda il mondo”, diceva la didascalia della pubblicità. Servi il tuo Paese. Lavora per la CIA.

Da ragazzo, Sterling, era sempre rimasto affascinato dai documentari e dai notiziari che parlavano di altri paesi. Quando tornava a casa dalla scuola, guardava sempre gli approfondimenti trasmessi dalla rete pubblica statunitense, la PBS, con giornalisti come Robert MacNeil e Jim Lehrer. La scuola che frequentava allora era interraziale, ma tuttavia non si sentiva a suo agio. Per alcuni suoi compagni lui era un Oreo (marca di biscotti) nero di fuori e bianco dentro, e questo solamente perché i suoi interessi non coincidevano esattamente con quelli che normalmente ci si aspetterebbe da un ragazzo di colore.

E così anche le sue azioni e i suoi discorsi. Cominciò quindi a documentarsi meglio sulla CIA, e, una volta presa la decisione, cominciò a scrivere il suo CV.

Il suo primo giorno di lavoro a Langley – quello che tutti chiamano “EODEntrance On Duty, tradotto: Ingresso di Servizio, è stato il 13 maggio 1993. Gli venne raccomandato di parcheggiare l’auto nell’area retrostante l’edificio principale, e di accedere agli uffici attraverso le porte di servizio, quelle utilizzate dalla gran parte degli impiegati. Ma Sterling, parcheggiata l’auto, fece tutto il giro dell’edificio per poter entrare dall’ingresso principale, quello con l’emblema della CIA scolpito sul pavimento di marmo, e dove, su uno dei muri che costeggiano l’edificio, è impressa una stella per ogni agente ucciso in servizio.

“E’ stato emozionante”, raccontava alle persone che gli chiedevano cosa avesse provato il primo giorno di lavoro. Tanto coinvolgente che continuò ripetere quel percorso per diversi giorni, contravvenendo alle indicazioni che gli erano state fornite. Voleva dire molto, per lui, attraversare l’ingresso principale, sapendo di fare parte di qualcosa di importante. Lo faceva sentire orgoglioso di quello che stava facendo.

Il primo incontro giornalistico con Sterling è stato ad aprile, nella sua casa a O’Fallon, nella periferia di St.Louis. Erano passati solo tre mesi da quando il tribunale lo aveva condannato, ed era in attesa di essere chiamato per sapere se avrebbe ricevuto la pena prevista, in base alle linee guida previste dalla giustizia federale. Era incredibilmente tranquillo: ogni tanto si toccava le tempie ingrigite, mentre raccontava delle vicende legali legate alle cause intraprese contro il governo.

Non aveva ancora accennato pubblicamente a nessuno di queste cose, tranne che agli autori di un piccolo documentario diretto da Judith Ehrlich e prodotto da Norman Solomon.

Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, invece, aveva preferito non rilasciare alcun commento sulla vicenda, malgrado le insistenti richieste. Non aveva comunque impiegato molto tempo, la CIA, a discriminarlo per via del colore della sua pelle. Una volta terminato l’addestramento di base previsto dall’Agenzia per gli ufficiali, Sterling venne assegnato ad una Task Force specializzata sull’Iran, e spedito ad una scuola di lingua ad imparare il Farsi. Nel 1997, mentre aspettava di partire per la sua prima missione oltreoceano, in Germania, gli venne detto che il suo posto sarebbe stato preso da qualcun altro.

“Siamo preoccupati che tu ti possa tradire, un ragazzone nero che parla Farsi” si è sentito dire Sterling da un suo superiore. “Bene, e quando vi sareste accorti che sono nero?” Rispose lui scioccato.

L’Agenzia non ha una buona fama in tema di diversità. In quel periodo tutti i suoi direttori, vice direttori e capi area erano bianchi. Nel 1995 l’Agenzia aveva accettato di pagare 990.000 dollari come risarcimento per una causa intentata da un ufficiale donna che accusava la struttura di averla discriminata sessualmente. L’Agenzia promise che si sarebbe impegnata in maniera più concreta nella tutela delle diversità, sia di tipo razziali che di genere. Ma, per quanto Sterling possa ricordare, non vennero fatti grossi passi in avanti. “Ho pensato seriamente di lasciare l’Agenzia”, racconta ai giornalisti. “In quel periodo ero molto convinto di riuscire a fornire un contributo positivo. Credevo di poter avere una carriera molto brillante “.

Qualche mese più tardi, Sterling, accettò un’altra missione oltreoceano. Poco prima di partire, un suo supervisore gli disse che al posto di quella missione, sarebbe andato a ricoprire quella in Germania dalla quale era stato all’ultimo momento sostituito, in quanto l’ufficiale che vi era stato destinato, aveva rinunciato. Sterling, che è una persona orgogliosa, disse di non volere andare in una missione per la quale era risultato essere una seconda scelta, un sostituto.

“O vai dove ti diciamo di andare o non vai da nessuna parte” gli avevano risposto.

E così partì per la Germania. “Mentre era in viaggio si ripeteva, d’accordo, ce la posso fare, finalmente ho un’assegnazione. Riuscirò a dimostrare loro quanto valgo”.

Sterling ricorda di essere stato l’unico ufficiale di colore nella sede dell’agenzia a Bonn.

La sua copertura era quella di un ufficiale dell’Esercito degli Stati Uniti con un incarico nella logistica, chiaramente non aveva le sue credenziali di ufficiale del Dipartimento di Stato. Questo però gli complicava terribilmente le cose per quel che riguardava la possibilità di accedere a circoli sociali e politici, dove in genere vengono selezionate le spie straniere; le porte che si aprono per i diplomatici, non sono le stesse degli ufficiali di logistica. I suoi superiori erano convinti che il colore della sua pelle non gli avrebbe mai permesso di raggiungere gli stessi risultati dei suoi colleghi bianchi, e quindi non si preoccupavano di fornirgli una copertura valida. “Non potevo neanche accedere ad una convention di custodi” afferma con amarezza Sterling.

Quando fece ritorno negli Stati Uniti venne assegnato ad una Divisione che si occupava del contrasto alla proliferazione, presso il quartier generale dell’Agenzia, prima di essere distaccato presso la centrale di New York, dove ancora una volta Sterling ricorda di essere stato l’unico ufficiale di colore.

Le cose, dunque continuavano ad andare al solito modo. Finchè non gli venne posto uno strano ultimatum: comincia a far assumere tre nuovi agenti, fai un incontro con ciascuno di essi, e se non ci riesci, lascia New York. Il suo stato d’animo era quello di uno che era stato lasciato solo: gli chiedevano di fare più degli altri agenti, senza però fornirgli una simile copertura. Quella era l’ultima cosa che era disposto a sopportare; ricorda Sterling di aver pensato: “Ora basta, mi rifiuto di fare quello che mi viene chiesto, ed anzi, presenterò subito un reclamo”.

Venne di nuovo trasferito a Langley, dove gli venne assegnato un ufficio grande, più o meno, come un armadio, che lui e il suo collega di stanza chiamavano scherzosamente la “scatola di punizione”.

A quel punto inoltrò una protesta ufficiale per “discriminazione razziale”, con la quale però non ottenne alcun risultato, e dopo pochi giorni venne licenziato.

John Brennan, che in quel periodo era il direttore esecutivo dell’Agenzia, che attualmente dirige, ha dichiarato al New York Times che “si è trattato di una situazione spiacevole in quanto Jeffrey era un ufficiale di talento, dotato di molte di quelle qualità che noi ricerchiamo in un agente, e noi volevamo che lui ce la facesse. Siamo stati molto contenti dei risultati da lui ottenuti in varie missioni, in diverse aree. Sfortunatamente, vi erano alcuni lati del suo lavoro e della sua crescita che avevano bisogno di essere migliorate”.

Ad O’Fallon, Sterling vive in una villetta a corpo unico, assieme alla moglie e a due gatti, in un paesino composto da case rosse e bianche, tutte molto simili tra loro.

“Siamo parecchio fuori dalla beltway qui” dice scherzando Jeffrey, con una voce che sembra fatta a posta per la radio, bassa e soave, con un tono che resta quasi sempre uniforme.

Beltway è un idioma americano usato per indicare questioni che risultano di primaria importanza per i funzionari del governo federale, i loro contractors, i loro lobbisti e le media corporations a loro legate. Geograficamente si tratta di un’area delimitata da un anello autostradale che circonda il Distretto federale di Washington (DC), la Interstate 495, e che include anche parte della Virginia e del Maryland. Indossa un paio di jeans e una maglietta, e ai piedi porta dei sandali.

Su un muro della sua casa c’è una stampa che ritrae un quadro di Salvador D’Alì: due farfalle che librano nell’aria. Il suo tono di voce cambia di rado, solo quando si trasforma per diventare più tagliente. “Ho dedicato me stesso all’Agenzia” risponde, quando gli viene chiesto la ragione per la quale ha deciso di fare causa alla CIA, invece di andarsene semplicemente, come fanno in molti.

“Non potevo andarmene semplicemente da un mondo che per me era stato di vitale importanza, e per il quale sapevo di essere portato, avendolo ampiamente dimostrato. Questa è la ragione…No, non mi farò trattare in questa maniera”.

Nel 1972 Jim Croce scrisse una canzone dal titolo: “Non puoi prendere in giro Jim” che in alcune strofe raccontava di cose che una persona sensibile, generalmente, non fa, come sputare contro vento, togliere la maschera al Lone Ranger o battere sul capo di Superman. Sterling sottolinea quest’ultima frase, ad indicare la scelta da lui intrapresa nei confronti della CIA. Ha deciso di sfidare la CIA, e forse lui, non è una persona così sensibile.

Prima di lasciare la CIA, nel 2001, Jeffrey ha citato l’Agenzia davanti ad una corte federale per avere subito una serie di discriminazioni, dopo aver presentato, senza successo, un reclamo ufficiale interno per lo stesso motivo. La causa è poi stata archiviata dopo che la CIA si è lamentata col giudice, in sede extragiudiziale, del fatto che se fosse stata costretta ad andare a processo, avrebbe dovuto rivelare segreti di stato, accennando a fonti e a metodologie da essa utilizzate.

Quella sentenza è stata impugnata in appello, davanti ad una corte federale, con la motivazione che Sterling è stato privato del suo diritto ad avere un giusto processo.

Il licenziamento aveva diviso i supervisori di Sterling tra quelli disposti a testimoniare in giudizio circa le modalità con le quali l’imputato si era relazionato con loro, e quelli che invece non se la sentivano.

Il governo non ha fornito risposte precise, ne in aula ne attraverso i media, in relazione all’accusa di discriminazione razziale. In qualche modo Sterling aveva “battuto sul capo” della CIA.

Sterling ha scritto una memoria il cui titolo approssimativo è: “Un Viaggio Americano Attraverso il Bianco e Il Nero” del quale ha presentato già tutti i capitoli, così da avere una revisione prima della pubblicazione.

In base ad una causa intentata nel 2003 da Sterling nei confronti della CIA, l’Agenzia è riuscita ad ottenere il riconoscimento che queste memorie conterrebbero informazioni classificate che non dovrebbero essere pubblicate, ottenendo di fare aggiungere una nota in cui si dice che, questo è quanto stabilito da un giudice, le informazioni fornite sono palesemente false.

Di fronte alla scelta di dover affrontare una dura battaglia legale con un giudice che sembra essere molto vicino agli interessi della CIA, Sterling ha preferito ritirare il procedimento. E così il suo manoscritto non è stato pubblicato. Sempre nel 2003 Sterling ha incontrato alcuni membri dello staff della Commissione di vigilanza sui Servizi al Senato, per comunicare loro la sua preoccupazione riguardo la pessima gestione del programma segreto a cui stava lavorando per conto dell’Agenzia.

Merlin, questo era il nome del programma classificato, prevedeva che la CIA fornisse all’Iran dei falsi progetti nucleari. Se il governo iraniano avesse deciso di seguire quei progetti, il suo programma nucleare avrebbe subito dei forti rallentamenti. I falsi progetti sarebbero stati forniti al governo iraniano da uno scienziato russo stabilitosi negli Stati Uniti, del quale Sterling era il contatto con la CIA.

L’Agenzia aveva dichiarato che il programma funzionava correttamente, ma Starling ha rivelato invece allo staff della Commissione che vi era un errore, e che gli iraniani che avevano studiato su quel progetto non erano capaci; gli iraniani avrebbero potuto imparare alcuni segreti da quelle parti del progetto che erano corrette. Proprio a partire dal periodo in cui incontrò i membri del Senato, la CIA cominciò a trattare Sterling, in base ai canoni di Washington, come se fosse “radioattivo”. Ma questo è il destino di tutti gli informatori che hanno lavorato per l’Agenzia. Ha provato ad inviare CV a tutte le società contractor dell’Agenzia, che in genere assumono persone con le sue stesse caratteristiche, ma anche se all’inizio queste si mostravano interessate, quando Sterling le richiamava, stranamente, il loro interesse svaniva, forse perché avevano saputo della causa in corso contro la CIA. E così è cominciato il periodo più difficile. Quando i soldi hanno cominciato a scarseggiare, è stato costretto a vendere tutte le sue cose di valore su Craiglist, ed ha anche affidato i suoi gatti ad una signora con una fattoria. Quindi ha imballato le sue ultime cose, le ha caricate in macchina ed è partito.

L’idea iniziale era quella di andare a trovare sua madre nel Missouri, ma poi, invece, aveva deciso di vagabondare, fermandosi di notte nei parcheggi per camionisti a dormire in auto.

“Non avevo un posto dove andare”  ricorda pensando a quei giorni bui. “Avevo lavorato sodo per arrivare dove mi trovavo, ma alla fine mi era crollato tutto addosso”.

Un giorno era passato a trovare una coppia di amici a St.Louis, che aveva da poco avuto un bambino, e con la quale aveva fatto un accordo: lui si sarebbe preso cura del bambino e in cambio loro gli avrebbero offerto ospitalità nella loro casa. “E’ stato molto duro passare dal risolvere casi per conto della CIA a fare la tata” ricorda Sterling.

Ma poi, come in genere accade, la sua vita è cambiata. Nel 2004 ha ottenuto un lavoro come investigatore nel settore sanitario per la Wellpoint, e in quello stesso anno ha conosciuto una donna, Holly Brooke, e dopo alcuni giorni è andato a vivere con lei. Finalmente Jeffrey aveva un lavoro, una compagna ed una casa. Tutto sembrava essere tornato a posto quando, la mattina del primo dell’anno del 2005, il principale avvocato della CIA, John Rizzo, veniva svegliato da una telefonata sulla sua linea privata.

Dall’altra parte del telefono un ufficiale della National Security Agency lo avvisava che stava per essere pubblicato un libro che avrebbe rivelato i contorni di uno dei programmi più sensibili della CIA.

Il libro, scritto dal giornalista del New York Times James Risen, era intitolato: “Stato di Guerra” e descriveva il programma Merlin come “una delle operazioni più rischiose della storia moderna della CIA. Il libro di Risen non rivelava chi fosse, o fossero, le sue fonti.

Rizzo racconta nel suo libro “Company Man” trent’anni di controversie e di crisi nella CIA, di essersi infilato i vestiti e di avere guidato la sua auto in città, per farsi dare una copia del libro dal funzionario dell’ NSA. Quindi di essersi diretto a Lengley per mostrarla ad un anziano ufficiale incaricato di studiare il da farsi. La Casa Bianca voleva intraprendere un azione strardinaria per fermare la pubblicazione del libro. Il principale avvocato di George Bush, Harriet Miers, chiese a Rizzo di chiamare Sumner Redstone, il presidente di Viacom, che controllava la società editrice Simon & Shuster, l’editore di Risen.

Alla fine Rizzo non chiamò Sumner Redstone, ma memorizzò di inoltrare un rapporto al Dipartimento di Giustiza, relativo ad una fuga di notizie. Bisognava scovare la talpa.

In meno di un mese, due agenti dell’FBI si presentarono a casa degli Sterling, a St. Louis.

Dichiararono di essere preoccupati del fatto che un soggetto di nazionalità iraniana potesse nuocergli. Sterling aveva intuito che si trattava di una scusa e rispose loro che sarebbe stato in grado di accorgersi di essere seguito, specie se si fosse trattato di un iraniano, dato che non vi erano iraniani che abitassero da quelle parti. I due chiesero a Sterling se potevano entrare in casa sua e lui si rifiutò.

Avevano con loro una copia del libro di Risen, gliela mostrarono, e gli chiesero se lo conosceva.

“Io risposi dicendo che non lo avevo mai visto prima” ricorda Jeffrey.

Quella non fu la prima volta che Sterling venne interrogato dall’FBI. Risen aveva intervistato Sterling nel 2002, ed aveva pubblicato un articolo sulla causa di discriminazione che aveva intentato contro la CIA. L’anno successivo, Risen, aveva scritto un pezzo sul programma Merlin che però il giornale non gli aveva pubblicato. Risen aveva chiesto alla CIA di rilasciare un commento sull’articolo prima di presentarlo per la pubblicazione, e subito venne convocato alla Casa Bianca assieme al suo editore. Li, il Consulente per la Sicurezza Nazionale, Condoleeza Rice, aveva loro spiegato che se l’articolo fosse stato pubblicato, sarebbe costato la vita di molte persone, oltre a rivelare l’esistenza di un programma segreto di enorme valore.

Il Times decise di non pubblicarlo. Nel 2003 il Dipartimento di Giustizia aprì un’inchiesta, e alcun agenti dell’FBI interrogarono Sterling. Questi pensò che fintanto che gli agenti, eravamo nel 2006, andavano a bussare alla sua porta per chiedergli informazioni su un libro, non aveva nulla di cui preoccuparsi.

A seguito di quella visita, Holly, venne citata a testimoniare di fronte ad un grand jury. Fu interrogata per sette ore nel quartier generale dell’FBI, a Washington, ed il giorno successivo nuovamente interrogata per altre tre ore, di fronte ad un altro grand jury ad Alexandria, in Virginia.

Quando fece ritorno a St.Louis, ricevette una telefonata dal suo avvocato, che le disse che l’FBI stava venendo a cercarla a casa sua. Oltre una dozzina di agenti entrarono nel suo salotto e confiscarono alcuni dei beni della coppia. “Quando se ne andarono mi sentii mancare”, raccontò Holly mentre pranzava in un bar vicino casa sua, con lo stereo del locale che suonava un pezzo rock. “Piangevo e singhiozzavo, non riuscivo a spiegarmi quello che ci stava capitando. Provai ad andare a lavoro, il giorno seguente, e tutto mi passò di mente. Il mio capo venne a parlarmi e mi disse: devi andartene. Credo che tu stia soffrendo di un disturbo da stress post-traumatico”.

Poi, così come erano misteriosamente entrate nelle loro vite, le indagini dell’FBI sembrarono sparire.

Nell’autunno del 2010, l’avvocato di Sterling lo chiamò, dicendogli che il caso sembrava essersi fermato.

Il 6 gennaio del 2011 venne chiesto a Sterling un appuntamento nel suo ufficio. In quel periodo si trovava in permesso malattia, avendo subito un trapianto al ginocchio, così, tornando al lavoro zoppicando, aiutandosi con un bastone, dopo un controllo alla posta che si era accumulata sulla sua scrivania, un collega gli aveva detto che il personale della sicurezza voleva vederlo perché c’era un problema con il suo distintivo. Gli avevano anche detto che era urgente. Quando incontrò il personale della sicurezza, racconta Jeffrey, venne arrestato da diversi agenti dell’FBI e della polizia. Il suo bastone venne portato via, gli vennero ammanettate le braccia dietro la schiena, e venne condotto fuori dall’edificio, zoppicando, davanti ai suoi colleghi di lavoro attoniti. L’accusa che gli venne mossa contro fu la fuga di notizie in favore di Risen, per “rabbia e risentimento”  nei confronti della CIA.

La tempistica del suo arresto fu abbastanza strana. Le comunicazioni fra Sterling e Risen erano cominciate nel 2001 ed sano terminate nel 2005, stando al registro delle telefonate e delle e-mail inserite nell’atto di accusa. Perché Sterling è stato arrestato a sei anni dall’ultima comunicazione avuta con Risen e cinque anni dopo che la sua casa è stata perquisita dall’ FBI? Se è vero, come il governo sostiene, che egli aveva causato così tanti danni, perché i pubblici ministeri hanno atteso così a lungo

per sporgere denuncia?

Le risposte sembrano avere a che fare con la politica. Fino a che Barack Obama non è stato eletto presidente, il Dipartimento di Giustizia raramente ha perseguito degli informatori. Quando ancora era candidato, Obama aveva promesso che avrebbe creato un’ amministrazione trasparente come mai si era avuta prima; sta di fatto che sotto la sua presidenza non si sono mai avuti così tanti processi per violazione dell’ Espionage Act,  rispetto a tutte le amministrazioni precedenti messe insieme.

Dennis Blair, il direttore della sicurezza nazionale durante il primo mandato di Obama, ha dichiarato al Times che la decisione era stata presa nel 2009, vale a dire di ” impiccare un ammiraglio ogni tanto”, così come aveva proposto Blair, per mostrare agli aspiranti leakers (informatori) di non parlare con la stampa. Il Dipartimento di Giustizia, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di incriminare i funzionari di alto livello; i principali obiettivi erano, dunque, i funzionari di livello medio, e sembrerebbe che il caso dell’arresto di Sterling sia stato riportato in vita come parte di questo giro di vite.

Dopo diverse settimane di carcere, Sterling è entrato in depressione.

” Mentre ero seduto in quella cella di prigione, mi è crollato tutto addosso “, ha detto.

“Tanti anni, tante battaglie, e finalmente ero arrivato ad un punto in cui mi ero risollevato e stavo ricominciando a vivere. Ma questo gigante, rabbioso e vendicativo, si stava solo facendo strada.

Stavo vivendo una situazione tremendamente deprimente, fatta di incredulità, di shock “.

Jeffrey è’ entrato in sciopero della fame fino a quando non gli è stato consentito di vedere Holly.

“Rivedere il suo volto è stato terribilmente scioccante, sapere che c’è questa donna che mi ama e che è stata con me tra alti e bassi”, ha detto Jeffrey. “Le ho fatto una promessa, quella che sarei rimasto vivo e che non avrei cercato di farmi del male.”

Una volta uscito dal carcere, Sterling, non è più riuscito a trovare un lavoro, per via dell’accusa di violazione dell’ Espionage Act, ed ha inoltre dovuto attendere quattro anni per l’inizio del suo processo.

Gran parte del ritardo era dovuto ad una battaglia legale tra l’accusa e Risen – con l’accusa che imponeva a Risen di rivelare la sua fonte, che il governo ha creduto essere Sterling, e dall’altra parte Risen che si rifiutava di collaborare, fronteggiando la prospettiva, per un giornalista, di finire in galera per aver sfidato il governo. Ma l’amministrazione Obama, criticata per aver violato il Primo Emendamento, fece marcia indietro prima dell’inizio del processo.

Il 13 gennaio, si è aperto il processo contro Sterling, con il pubblico ministero, James Trump, che arringava alla giuria, accusandolo di essere un traditore.

“L’imputato ha tradito il suo paese”, ha detto Trump. “Ha tradito i suoi colleghi. Ha tradito la CIA ed ha compromesso la sua missione. E, soprattutto, ha tradito la fonte russa, un uomo che ha letteralmente messo la sua fiducia e la sua vita nelle mani dell’accusato “.

Trump ha quindi affrontato il tema del movente.

«E perché?» Ha chiesto in maniera retorica. ” Rabbia, amarezza, egoismo. L’imputato ha cercato di danneggiare la CIA perché ha ritenuto di essere stato trattato ingiustamente. Egli ha citato in giudizio l’agenzia per discriminazione, chiedendo un risarcimento di 200.000 dollari per ritirare la sua denuncia. Quando l’agenzia si è rifiutata, egli ha usato contro di essa l’unica arma che aveva a disposizione:  Segreti, i segreti dell’Agenzia “

Le prove in mano al governo consistevano, principalmente, nelle registrazioni di e-mail e di telefonate tra Sterling e Risen, registrazioni cominciate nel 2001 e proseguite fino al 2005. Le e-mail erano molto brevi, solo una riga o poco più, e non facevano riferimento ad alcun programma della CIA.

Le telefonate erano anche quelle, in maggioranza, molto brevi, alcune di appena pochi secondi, e il governo non hanno prodotto in giudizio registrazioni o trascrizioni di nessuna di queste.

Sterling era rappresentato in giudizio da due avvocati, Edward Jr. MacMahon e Barry Pollack.

Nel suo discorso di apertura, MacMahon, ha sottolineato la mancanza di prove concrete contro il suo cliente.”Il sig. Trump è un ottimo avvocato “, ha detto MacMahon. “Se avesse avuto a disposizione un’ e-mail o una telefonata con i dettagli di questo programma, l’avremmo sentita,  ma voi non la udirete nel corso di questo processo. … Il sig.Trump vi ha detto che [Sterling] parlò con Risen. Avete per caso sentito, voi, dove, quando, o qualche dettaglio a proposito di queste conversazioni? No. E questo perché non esiste alcuna prova, di nessun genere, di ciò. … Non abbiamo visto alcuna comunicazione scritta al signor Risen, da parte del signor Sterling, sul programma, non esiste poi alcuna prova che essi si siano incontrati di persona. “

Dopo due settimane di udienze durante le quali sono stati chiamati a deporre alcuni testimoni della CIA, che hanno parlato tutti da dietro uno schermo, in modo da non rivelare la loro identità, la giuria ha condannato Sterling, in base a quelle che il giudice, Leonie Brinkema, ha descritto nella sentenza come “prove circostanziali molto convincenti”. Il giudice ha poi aggiunto:” In un mondo perfetto, vengono richieste prove dirette, ma molte volte ciò non è quello che accade in un procedimento penale. “

Sterling sedeva, impassibile, mentre il giudice spiegava le motivazioni della sentenza che stava per pronunciare. Quando avevano chiesto a Sterling, mentre trascorreva i suoi ultimi giorni St. Louis, che cosa si aspettava sarebbe successo, lui rispose: “Questo processo mi ha distrutto”, con la voce che cambiava tonalità in modo esitante, rivelando un angoscia che non era più in grado di controllare.

“Non riesco e non sono in grado di sopportare il pensiero di dovere andare in prigione. Non so come affrontarlo ne come gestirlo, perché non ha alcun senso. Ho paura di andare prigione. Forse qualche miracolo accadrà e non ci andrò. Ma devo sforzarmi di essere realista e prepararmi al peggio”.

Pochi minuti prima delle tre del pomeriggio, il giudice Brinkema ha deciso che Sterling dovrà trascorrere in prigione per tre anni e mezzo. La pena erogata è di gran lunga più alta delle linee guida di condanna, e rappresenta una lezione all’immagine di Sterling fornita dalla procura, che è quella di un traditore che deve essere rinchiuso per un lungo periodo di tempo.

Ma questo non è stato di molto conforto per Sterling o per sua moglie, perché comunque trascorrerà un lungo periodo di detenzione. Dopo che l’udienza si è conclusa, Sterling si è diretto verso la prima fila di poltrone, per cercare di consolare la moglie singhiozzante. I suoi singhiozzi erano udibili distintamente in aula.

I suoi avvocati hanno chiesto che gli fosse permesso di scontare la sua pena nel suo stato natale, il Missouri, in modo che la moglie e gli altri membri della sua famiglia potessero facilmente fargli visita.

Da qualche settimana, Sterling, ha reso noto quale carcere sia stato scelto per lui. E’ ‘in Colorado.

  

Titolo originale: Jeffrey Sterling took on the CIA and lost everything

The intercept

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